Il problema non è il concetto di “democratico” che, comunque andrebbe analizzato tenendo conto di molteplici fattori, ma è il termine “partito” che stride come il vecchio gessetto sulle lavagne. Questo non è un partito. Come non lo sono tanti (o forse tutti) ma il PD pretende di essere partito. Lo ritiene, lo auspica, lo reclama, lo sbandiera come quando il PCI affermava, con orgoglio, di essere il più forte partito comunista occidentale. In quel caso era vero. Il PD è un arcobaleno neppure troppo gioioso che cambia segretario ad ogni temporale. Non c’è la lungimiranza e tantomeno la stabilità di quei tre segretari che hanno percorso mezzo secolo: Togliatti-Longo-Berlinguer, (oltre quarant’anni alla guida di quello che è stato “il partito”) non c’è quella chimica, quell’unione, quella passione, quella voglia di partecipazione. Non ci sono neppure le contraddizioni di un centralismo democratico che proprio democratico non era. Diciamoci la verità: il PD è rimasto ciò che Nanni Moretti chiamava “la cosa”. E’ rimasto un disegno non completo, un quadro di Giotto senza prospettiva, un Monet in bianco e nero, un bacio di Klimt non dato. Il PD è un po’ la Sagrada Familia di Gaudì: un bellissimo progetto non ancora concluso. Se fosse un film potrebbe essere “Vorrei, ma non posso” oppure “il fascino discreto della borghesia”. Se fosse una canzone sarebbe “vita spericolata” ma anche “una vita da mediano”. Se fosse un libro sicuramente cent’anni di solitudine con il condannato Buendìa che vive di ricordi anche davanti al plotone d’esecuzione. Parafrasando il capolavoro di Umberto Eco possiamo definire il PD “il nome della cosa”. Perché, a dire il vero, gran parte del popolo della sinistra è ancora fermo alle lacrime di Occhetto alla Bolognina: morì il PCI e nacque il PDS senza convinzione, senza “garra”, senza “cazzimma”, senza, per dirla con Pasolini, “il sogno di una cosa”. Gran parte del popolo della sinistra è rimasto a quei blocchi e non ha mai cominciato la gara. Si è innamorato di ciò che è stato e non ha provato neppure a gareggiare per quello che poteva essere. Il PD, che negli anni ha perso la S di sinistra, è un ibrido, un tentativo, una prova mal riuscita di ciò che poteva essere: un grande partito di popolo includendo in quel popolo la parte più rappresentativa di questo paese. Sono spariti i giovani, gli operai, gli studenti, chi lottava per gli ultimi. Sono spariti quelli che portavano il sale della vita tra le tasche e il sudore. Sono mancati gli intellettuali che tracciavano strategie inclusive. Sono apparsi i “normalizzatori”, i “tira a campare” i “filogovernatori” i vecchi democristiani, i socialdemocratici, qualche repubblicano e qualche socialista. Non c’è stato nessun traghettamento per l’altra parte del fiume ma si è raccolto, durante un guado disperato, qualsiasi detrito. Questa zavorra è divenuta classe dirigente, amante del sottogoverno, del tirare a campare, delle alchimie politiche che non potevano e non dovevano appartenere ad una sinistra inclusiva, progressista, conciliante e mediatrice. Quando Zingaretti, prima di andarsene, ha detto che nel partito c’erano troppe persone legate alle poltrone, ho emesso un flebile sospiro. Era chiaro, era oltremodo lecito aspettarselo davanti ad un non partito costituito da bande rivali, da gente che cammina con il coltello in tasca, gente che nella vecchia DC sapeva gestire le correnti perché quello perlomeno era un partito di potere e sapeva gestire le intemperanze dei suoi capi e capetti. Un concetto puro di sinistra o di centro-sinistra con le fronde di rami raccolte durante la piena del fiume non poteva funzionare. Non funzionerà con Letta e con nessun altro. Il PD è un quadro di Pollock: bellissimo, ma con troppi colori e rischia di rimanere incompreso per sempre. La sinistra, ovviamente, abita da altre parti. Ma non so dove.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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