di Maria Dore
Che i comunisti avessero strani gusti alimentari ce lo hanno raccontato per tanto tempo; la leggenda sui comunisti cannibali è infatti alquanto vecchia e le battute costruite attorno fanno ormai ridere assai poco.
Questa storia – se fosse stata propagata oggi l’avremmo chiamata bufala-mi è tornata in mente quando durante una chiacchierata tra stranieri è saltato fuori, per l’ennesima volta, l’argomento sulla scortesia diffusa in Slovacchia, cui già avevo avuto modo di accennare.
Quando un ragazzo greco ha sentenziato che la scortesia dei gestori di locali pubblici e negozi sia un retaggio del passato comunista, questo ho pensato nell’immediato: ecco un’altra leggenda anticomunista. Non solo mangiatori di tenera carne umana, ma anche scortesi per appartenenza ideologica.
Eppure, l’argomentazione era così composta da apparire credibile e non sono tardate ad arrivare le conferme di altri partecipanti alla discussione.
E così ho ascoltato, curiosa e un po’ dispiaciuta: questa aggressività verso i clienti – diffusa in molti dei paesi post comunisti, perdurante oggi ma ancora più evidente negli anni ‘90 – pare sia un retaggio del potere che gli esercenti avevano all’epoca. Lo scarso numero di punti vendita e di merci circolanti, rendeva i tronfi proprietari tanto intoccabili quanto i clienti disposti ad accettare le reazioni screanzate pur di accedere al raro bene di consumo. A questo si aggiunge il non irrilevante dettaglio della vicinanza della classe dei commercianti al partito comunista.
Questo aspetto è descritto addirittura in un libro guida sulla Slovacchia facilmente reperibile digitando qualche parola chiave su Google. Scrive l’autore in un paragrafo specifico:
“In quell’epoca, quando il personale addetto al rapporto diretto con la clientela era pagato con un salario che prescindeva dal numero di clienti che entravano nel loro esercizio commerciale, vi era una scarsa motivazione ad approcciare il consumatore con entusiasmo o anche con la minima e indispensabile cortesia”.
Si aggiunge che il passaggio ad un’economia capitalistica abbia sì, avviato un cambiamento nelle generazioni più giovani, ma non come ci si aspetterebbe.
Il racconto si chiude con gli anni ‘90 e l’immagine degli slovacchi che fanno la fila affamati fuori dai Mc Donald’s. Affamati di hamburger, ma anche dell’atto del consumo.
Nella discussione si introduce un cittadino britannico che, sospirando, confessa tutta la sua nostalgia per l’attenzione al cliente che viene riservata in Gran Bretagna. La cortesia britannica, già. Me la ricordo anche quella. Lì, è vero, il cliente ha sempre ragione, anche quando è lui a essere arrogante e ad avere palese torto.
Ho molto chiare ancora, ad esempio, le commesse di Primark, la catena di abbigliamento spazzatura abitualmente presa d’assalto da consumatori con poche pretese e poche sterline, ma anche i camerieri di Starbucks mentre servivano l’imbevibile caffè annacquato imbellettato con nuvole di panna e aromi vari. Stessi gesti meccanici, stesse frasi, sempre col sorriso. Mi faceva piacere, ma mi chiedevo anche quanto ci fosse di vero in quella serenità.
E così, abbandono la discussione tenendomi il dilemma: se sia meglio un po’ di cafonaggine comunista o un finto sorriso liberista sfoderato per vendermi un prodotto scadente.
La foto è un’opera di Giulia Bazzi del 1992
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