Ne ho sentite di parole violente e volgari da Matteo Salvini, ma la promessa di “levare l’inutile scorta a Saviano quando saremo al governo” è una nuova vetta, che pensavo inaccessibile: concentra in sé tutto il disumano disprezzo per la vita e per la memoria di cui si alimenta la politica più ignorante e odiosa. Se sei diverso da me per opinioni, religione, reddito, colore della pelle e storia, mi sei nemico e io ti sopprimo: ti passo sopra con la ruspa, oppure ti levo la scorta. “Inutile scorta”. Mi chiedo: inutile perché inutile è la vita di Saviano e non merita di essere protetta, oppure inutile perché Saviano non corre pericolo di vita? È, in ogni caso, la pretesa arrogante di poter disporre della vita degli altri, utile o inutile a seconda dei gusti. Se non la pensi come me, la tua vita non merita protezione. Ho visto i carabinieri scortare Emilio Fede, quando era ancora direttore del Tg4: per quanta disistima potessi avere di lui, non ho mai pensato che la mia considerazione verso il giornalista Fede potesse mettere in discussione il suo diritto alla serenità e la tutela della sua vita. Vale anche per Saviano, comunque la si pensi su di lui, vale per chiunque abbia un’esposizione pubblica e sia abituato ad esprimere opinioni nette. Il 19 marzo del 2002, solo quindici anni fa, il docente universitario Marco Biagi veniva colpito a morte dai terroristi delle nuove Brigate rosse. Aveva chiesto inutilmente la scorta perché sapeva di essere nel mirino. Il ministro del tempo, alle sue insistenze, lo liquidò come “rompicoglioni”. Biagi morì perché a nessuno importò abbastanza della sua vita. Ce ne siamo già dimenticati: una certa politica prospera grazie alle nostre amnesie. Otto anni fa, a chi scrive venne recapitata a casa una lettera scritta con caratteri di giornale, come quelle che si vedono nei film. Venivo minacciato di morte per un innocuo pezzo di cronaca pubblicato sul giornale per il quale al tempo lavoravo. Ebbi la protezione dei carabinieri per settimane, assegnatami d’ufficio nonostante la mia ferma contrarietà. Spiegai al comandante provinciale dei carabinieri che non volevo allarmare la famiglia, ma fu irremovibile. Non ho mai saputo chi ci fosse dietro quella lettera, non potevo sapere allora se quelle minacce meritassero preoccupazione o meno. So che lo Stato, allora, mi garantì protezione. Non so se la futura classe dirigente di questo Paese avrà lo stesso rispetto per la vita.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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