L’occasione offerta dal dibattito su radici e migrazioni al IX Festival della letteratura di viaggio di Mandas, al quale mi trovavo presente insieme a Giulia Clarkson (L’eredità dei petali d’avorio. Arkadia) e Ilario Carta (I giardini di Leverkusen. Arkadia), mi offre l’occasione di approfondire i termini di un fenomeno mai come in questo momento così attuale. Quando si parla di migranti, si toccano in effetti due realtà, in apparenza differenti tra loro, ma interconnesse: il fenomeno dell’immigrazione attraverso il Mediterraneo, dove si rischia la vita per un futuro migliore e purtroppo, spesso, si muore prima di arrivare alla sponda nord, come racconta la cronaca di questi giorni, e il desiderio di ogni profugo di tornare a casa e cercare un’altra possibilità nella terra d’origine, sia questa la Sicilia di Giulia Clarkson, la Sardegna di Ilario Carta o la Palestina di Karim, protagonista del mio libro La neve a Gaza edito da Caracò. I termini biblici dell’esodo dal Medio Oriente e dall’Africa che sta colpendo oggi così drammaticamente la capacità d’accoglienza dell’Europa, mette in luce la nuova emergenza che spinge questi migranti alla fuga disperata dalla loro patria. Guerre, violenze e fame sono i fattori comuni di un fenomeno che non è mai stato così tragico nella velocità d’evoluzione del suo processo. Non è mai facile abbandonare la terra dove si è nati, come ci raccontano per esempio i migranti giunti nella nostra città e a volte persino realizzatisi in essa, dove recidere il filo dei propri ricordi, sospendere quel legame vitale con le proprie radici non è mai frutto di un processo irreversibile. La migrazione è sempre una decisione sofferta, per certi aspetti una sconfitta, dettata dalla necessità primaria della sopravvivenza e della speranza di una vita migliore, ma nonostante ciò, proprio perché contraria alla nostra natura, essa viene sempre, prima o poi, messa in discussione. Radici della civiltà sono sempre stati considerate la famiglia, le leggi, la religione e la sepoltura, diceva Foscolo, nei suoi Sepolcri, uno dei risultati più maturi della cosiddetta civiltà illuministica, e in questo senso, ancora oggi, mi pare che ciò possa essere valido per un fenomeno traumatico come la migrazione in quanto rinuncia alle proprie radici. Nell’abbandono della propria terra c’è appunto la rinuncia, non certo volontaria, di una civiltà costruita passo dopo passo nel proprio luogo di origine, e a cui non si può derogare né tantomeno sovrapporvi un’altra civiltà ricavata ex novo nel luogo d’approdo. Per questo, nella ridda d’interviste che hanno commentato in questi giorni l’esodo di un milione di migranti dal Medio Oriente verso l’Europa, mi sono parse innaturali, anche se comprensibili nell’essere dettate dalla drammaticità del momento, parecchie dichiarazioni che registravano la volontà netta (di molti giovani, soprattutto) di lasciarsi alle spalle definitivamente la realtà di guerra e di odio della loro terra per approdare finalmente in un paese realmente civile. L’equivoco della tensione a una nuova civiltà dettato unicamente dalla fuga da un’altra civiltà distrutta dalla guerra e dalla violenza non può essere definitivo. La Siria, prima che gli errori politici dell’Occidente e l’avanzata cinica dell’Isis ne distruggessero ogni centro di cultura e di arte, era una nazione non considerabile seconda a nessun’altra, neppure in Europa, neppure nel nord Europa. La permanenza in questi luoghi per combattere e lottare, per ristabilirne la pienezza della civiltà originaria è un compito parimenti dignitoso, come quello di portar via la propria famiglia per restituirle una temporanea dignità. Esemplificativa in questo senso è stata ultimamente la vicenda di Abdullah Kurdi, il padre curdo che dopo aver perso la moglie e i due figlioletti nel tragico naufragio in Turchia, è tornato subito in patria per seppellirli. Questo gesto e la foto che lo vede ritratto nella sua casa da solo testimoniano l’importanza imprescindibile del proprio luogo d’origine, anche quando questo ha rifiutato i propri figli. Dunque la civiltà è ovunque, mai altrove, piuttosto nel luogo dove si è nati e più a lungo vissuti, perché è lì che si è investito nella valorizzazione delle proprie radici. Chiarito pur frettolosamente il senso di radici e opposizione di civiltà, nel contesto di questo nuovo, imponente fenomeno migratorio, qualche considerazione va fatta sullo stesso termine e sulla distinzione che si fa ancora oggi, in maniera speculativa, tra migranti politici ed economici. La stessa parola migrante è in realtà un’espressione triste, poiché i migranti tutti provengono da diversi paesi, abitudini, religioni, scappano dalla fame, ma soprattutto dalla guerra che ha distrutto e continua a devastare la vita di molti popoli, e proprio per questo non possono certo essere confusi in un tutto indistinto, e però distinguere tra migranti in cerca di un asilo politico, e migranti clandestini mi pare sicuramente fuori luogo. Se andiamo a guardare la mappa dei conflitti politici in Africa, per esempio, vediamo che tutti i paesi al di sopra dell’equatore, a cui va aggiunta l’Angola, sono coinvolti in episodi per la maggior parte originati dalla nuova espansione del fondamentalismo islamico e dunque in guerra. In conclusione credo sia necessario al più presto uniformare l’identità dei migranti, e preparare un piano di accoglienza che preveda la cura per un profugo siriano come per un profugo proveniente dal Mali o dalla Nigeria, ma soprattutto lavorare perché questi stessi profughi possano almeno coltivare la speranza di tornare nella loro patria per rifondare quella civiltà che li ha visti protagonisti e vera parte di essa. E’ indispensabile coltivare un messaggio di speranza in un mondo sempre più alla rovescia, dove viene considerata clandestina e illegale una persona in cerca di una pace temporanea e di un futuro migliore per sé e per i suoi figli, mentre si elogia chi in nome della democrazia scatena le guerre e procede all’occupazione armata dei paesi dai quali si muove la marea di disperati. Bisogna garantire un nuovo contesto di pace integrata tra Europa, Medio Oriente e nord Africa che il rombo degli aerei appena partiti dalla Francia non può certo ottenere. Perché nessuna legge e nessun confine vale la vita di una persona, come diceva il poeta palestinese Ibrahim Nasrallah…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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