Non ci sono più le fabbriche. Sono scomparse un po’ come le lucciole di pasoliniana memoria. Nel senso che non fanno più notizia. Non ci sono più gli operai a ricordarci i rumori e gli orrori della catena di montaggio. Non ci sono più i volantinaggi, l’odore del grasso, i sorrisi pesanti delle tute blu.
Non ci sono le rivendicazioni, le assemblee gonfie di fumo e troppe parole. Non c’è più la parola padrone. Oggi c’è l’amministratore, il general manager, la triade, il business-man, ma il padrone è sparito. Non ci sono più trasmissioni che parlano di operai. Non ci sono i parlamentari che venivano eletti all’interno del Partito Comunista Italiano. Ed erano compagni onorevoli operai. Di contrappunto non ci sono più neppure le operaie. Che avevano tutte l’articolo prima del nome: la Cinzia, la Teresina, la Betty. Con le loro tute blu, il rossetto appena marcato, poco ombretto, la lambretta, il pungo chiuso. Non ci sono più. Me ne sono reso conto ascoltando “Vincenzina e la fabbrica”, una delle più belle e struggenti canzoni di Enzo Jannacci. Me la ricordavo Vincenzina, davanti la fabbrica, con il folulard che non si mette più, davanti al cancello che si apre all’alba. Vincenzina che guarda la fabbrica come se non c’è altro che fabbrica e la fatica è dentro la fabbrica. Poi Milano, la periferia grigia e triste. Poi il Milan, quello che non vince più, con quel Rivera che si dimentica di segnare. Vincenzina, l’operaia che vuol bene alla fabbrica e non sa che la vita giù in fabbrica non c’è e se c’è dov’è. Vi confesso, davvero, di aver sentito un groppo in gola. Sarei voluto uscire, cercare gli operai, inseguirli, provare ad incitarli, a rimettersi le tue, a ciclostilare, a urlare contro il padrone, a dire che tutto questo non può essere vero. Poi, riascoltando Vincenzina ho capito tutto. Quella fabbrica che rappresentava la storia, la lotta, la forza di esserci, aveva bisogno di un antagonista di quelli veri: aveva bisogno del padrone. E il padrone, il cummenda, il tosto e duro, non c’è più. Solo mezze figure, politici piccoli, manager superpalestrati, tutti pronti a delocalizzare, modificare, stringere. Il padrone non va più in fabbrica e Vincenzina, oggi, ha molti voucher in tasca. E’ baby sitter, baby dog, stagista, volontaria. E non sa che la vita giù in fabbrica una volta c’era. Come il padrone.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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