Oggi la Macchina del Tempo unisce, con una linea sottile, due punti della storia dell’isola che caratterizzano il suo paesaggio interamente, da nord a sud, da est a ovest, rendendolo, in un certo senso, unico e omogeneo. Ad un certo punto ti accorgi che quel sentiero è parte di una viabilità storica, con tanto di terrapieno o muretto di sostegno nascosto tra i lecci, le eriche e i corbezzoli. Capisci meglio quando giungi ad uno slargo, ricoperto di erbetta verde, dove la macchia non ha motivo di entrare. Quello spiazzo è la carbonaia, il luogo dove si produceva il carbone vegetale, dove la legna veniva combusta in assenza di ossigeno, sottoterra, e veniva così alleggerita e resa idonea al trasporto a spalla o a dorso di animale. Immancabili sono i residui di quel pervasivo disboscamento industriale, lo stesso che, tra il 1820 e il 1880, ha ridotto di quattro quinti il manto forestale dell’isola, e che io stesso ho raccontato nel libro “Colpi di Scure e Sensi di Colpa”. Non esiste luogo forestale dell’isola che non porti quelle cicatrici. E’ la semantica di un paesaggio che è stato sfruttato prima e abbandonato poi: sentieri, muretti di sostegno, terrazzamenti, gli spiazzi per le carbonaie, tutta la viabilità pedonale e talvolta ferroviaria, i ruderi delle dispense dove si accumulava il carbone vegetale, i resti delle foresterie. Queste tracce ormai vanno scomparendo lentamente. Ma cancellare torri megalitiche alte anche 20 metri, non è tanto facile. Il nuraghe lo riconosci, anche in lontananza, come il terminale armonioso di un rilievo, al quale conferisce una forma materna. La Sardegna è dunque un territorio che gli antichi nuragici avevano ricondotto ad un controllo totale. Ad esempio, se un messaggio visivo o sonoro di allarme generale, un filo di fumo convenzionale o altra modalità comunicativa, fosse partito dal Nuraghe Palmavera nel nord dell’Isola, in pochi minuti, in teoria, di nuraghe in nuraghe, sarebbe potuto arrivare al Nuraghe Antigori, nell’estremo sud dell’isola. Si sostiene, dunque, che i nuraghi stavano a vista tra loro, e ciò ha comportato una mutazione della struttura del paesaggio fin dalla preistoria. Una trasformazione che ha resistito per quasi quattromila anni. E’ noto che il censimento operato sulle torri nuragiche e sui loro resti ha portato alla conta di circa 7-8000 elementi, distribuiti abbastanza uniformemente nel territorio. Ma vi sono diversi studi che ritengono che i nuraghi possano essere stati, in origine, molti di più. Ma non ci sono solo i nuraghi: ci sono le tombe dei giganti, i pozzi sacri, i resti delle capanne nei villaggi, le fontane, i muraglioni, e tanti altri monumenti archeologici risalenti a quel periodo. In tutto circa 20 mila monumenti archeologici, considerando anche i dolmens, i menhirs, le domus de janas e tutti gli altri monumenti del prenuragico. Una storia incredibile. Eppure, pochi sanno di questa storia incredibile, neppure molti sardi. Ogni tanto qualche studioso, qualche viaggiatore, improvvisamente capita in Sardegna, e ne resta meravigliato; non capisce, sorpreso, stupefatto da tutta quella monumentalità antica. Si meraviglia dell’assurdo silenzio attorno a quello che è stato definito come il più grande museo a cielo aperto che l’umanità abbia restituito dalle epoche antiche. E ci sono, sparpagliati ormai nel mondo, le migliaia di bronzetti nuragici, insieme a reperti di ogni genere, per non parlare della misteriosa statuaria in pietra, oltre ai tanti, tantissimi reperti dei periodi precedenti, del neolitico in particolare, a dimostrare una continuità tra la civiltà nuragica, fiorente per un lunghissimo periodo tra il XVIII e il II secolo a.C, e le civiltà che l’hanno preceduta. La Macchina del Tempo unisce questi due punti, segnando, in un certo senso, una sorta di inizio e una sorta di fine della storia. Il percorso temporale in cui nasce l’idea di un mondo circondato dal mare dal destino condiviso, e poi, dopo secoli di travagli e lotte, quello stesso mondo finisce calpestato e svuotato nella sua sostanza vivente da forze oscure e insormontabili. Inizio e fine. Restano le pietre, che sono le lettere, e i monumenti, che sono le parole, e il paesaggio intero che è un testo che si oppone, un discorso alternativo alla narrazione corrente. La Macchina del Tempo non può molto. La ricostruzione della narrazione, la fabbrica della storia, in fin dei conti obbedisce a quelle stesse forze oscure che hanno svuotato di vita e di forza l’isola. La storia è la rappresentazione che il presente fa del passato, e lo scarto dalla narrazione corrente è un atto di coraggio non sempre benvenuto. Il passato racconta. Ma la luce viene spenta prima, e la nebbia avvolge le cose millenni prima della nostra convenzionale e abitudinaria storia.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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