Eravamo in trenta, disposti in semicerchio tra la basilica di Nostra Signora di Luogosanto e il Comune. Vestiti di rosso, qualcuno di noi col giubbetto salvagente al collo: come quelli indossati dai migranti durante le loro traversate. Trenta, questura e organizzatori stavolta d’accordo. Tre clienti del bar della piazza, sulla soglia del locale, ad ascoltare incuriositi quel che ci dicevamo, due carabinieri ad osservare i nostri movimenti dall’interno della Punto blu. Ci siamo ritrovati sul lastricato lucido di pioggia di Luogosanto e ci siamo guardati negli occhi. Era importante, l’un per l’altro, sapere che esistessimo, avere certezza di trovare di fronte, fisicamente, qualcuno che la pensasse come noi, qualcuno cui stringere la mano e abbracciare al saluto finale. Alcuni di noi si conoscevano su Facebook ma non si erano mai incontrati di persona, altri non si conoscevano proprio. Eravamo lì per testimoniare di non essere disposti a lasciarci andare nel ventre molle della maggioranza, ben consci di essere una stretta minoranza. Specie di sabato pomeriggio: chi vuoi che lo sacrifichi un pomeriggio di libertà in favore della causa degli ultimi? Eravamo un piccolo nucleo de L’Italia che resiste, l’Italia che non ne vuole sapere di decreti sicurezza incisi sulla pelle dei disperati. Insegnanti, imprenditori, impiegati, operatori del volontariato, tutti impegnati in un modo o nell’altro nell’integrazione e nell’opporsi all’onda travolgente dell’odio virale. L’Italia per la quale ogni vita umana vale quanto qualunque altra vita umana, per la quale razze e confini sono un’invenzione e il luogo di nascita non è un merito o un demerito. Ci voleva un certo coraggio ad organizzare un presidio in Gallura, la terra che è stata povera mai poi si è ritrovata ricca grazie ad un principe musulmano. La terra dove le destre dilagano sempre alle elezioni, col loro carico di nazionalismi. Siamo una piccola minoranza. Ma bisognava esserci, per pochi che fossimo. A costo di essere presi per balordi, in mezzo alla piazza desolata in un piovoso e gelido pomeriggio di gennaio. Da oggi ci siamo ripromessi di ritrovarci in piazza tante altre volte. Un mio contatto Facebook, sulla mia bacheca, ha scritto che le nostre sono soltanto parole. Vero. Non abbiamo altro per far vincere la civiltà.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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