“La Lega ce l’ha duro”, gridava con voce catarrosa dai palchi lombardi Umberto Bossi, una ventina d’anni fa, accompagnando il suo slogan con greve gestualità. La Lega che raccoglie consensi anche in Sardegna e acclama Salvini con folle plaudenti nasce su idee semplici, prima delle quali era la difesa del territorio da “Roma ladrona”. “Alziamo una invalicabile palizzata per difendere il nostro suolo con i suoi usi e i suoi fatturati, liberiamola dal giogo italiano che ci ruba risorse e futuro. Perché noi non siamo italiani, siamo padani”. Prima dell’avvento di Salvini, la cui ricetta resta legata al concetto del territorio da difendere, la Lega era un movimento indipendentista nato contro lo Stato sanguisuga rappresentato dalle istituzioni capitoline. Marcava la propria differenza storica e culturale per motivare il suo diritto ad andare per conto proprio. Nel leggere della nascita, peraltro ampiamente prevista, di una nuova aggregazione politica sarda di fede indipendentista, mi ha molto colpito l’annuncio “noi non parleremo con i partiti italiani”. Tra i sostenitori di questa preclusione c’è anche e soprattutto gente che manifesta ripugnanza per le idee di Salvini ma, aspetto razzista a parte, io mi chiedo quanta differenza ci sia tra la Lega primordiale e certe forze indipendentiste che nel loro statuto hanno il divieto di dialogo con quegli alieni, gli “italiani”. Levare il saluto agli italiani è un modo plateale per certificare la propria verginità e la propria lontananza da affari di potere che, secondo questa narrazione, vanno immancabilmente a penalizzare l’Isola: per natura genetica e culturale, se sei italiano ce l’hai con la Sardegna e io con te non ci parlo, ti disconosco al punto che per me non esisti. Ci vedete differenza, voi, tra questo manifesto e la Lega del Roma ladrona e che garantiva di avercelo duro? Difesa del territorio dallo straniero che vuole depredarlo, alla fine lì si torna. Se nella rappresentazione leghista chi dubitava della Padania indipendente veniva virilmente colpito con l’accusa di non avercelo abbastanza duro, un sardo che creda nel dialogo con le istituzioni della Repubblica viene classificato dagli ultrà dell’indipendentismo come italiota, autocolonizzato, suddito, troppo debole e ignorante e ignaro della propria identità per affrancarsi dalla sindrome di Stoccolma che lo tiene prigioniero dello Stato italiano. C’è molta differenza? C’è differenza, anche in termini di metodo culturale, tra la genericità del messaggio “Roma ladrona” e “noi non parliamo con partiti italiani”? I partiti non sono dei simboli, non sono dei monoliti. I partiti sono fatti di persone (anche di sardi: ricordate Berlinguer?) dalle idee, dalle provenienze e dalle attitudini diverse. Tra questi, ce ne sono anche favorevoli alle istanze indipendentiste. Nel dopoguerra, la conventio ad excludendum tagliò fuori dall’arco costituzionale le ali estreme, a destra perché di matrice fascista e a sinistra perché ispirata al comunismo sovietico. Si trattava di preclusioni, certo, ma per difendere un’idea di Stato da chi poteva minacciarla. Ripeto, un’idea di Stato. Non si chiudeva al dialogo con i siciliani, i sardi, i liguri o i pugliesi, in quanto espressione di un’identità geografica, ma si tenevano a distanza le idee che questi uomini promuovevano, qualora attentassero allo Stato. Così come oggi è pienamente legittimo tenere a distanza dalle istituzioni nostalgici fascisti che della violenza e del razzismo fanno la loro ragione di vita: anche in questo caso, il contrasto è nelle idee, non nella carta d’identità. Io non vedo contenuto politico nel “io non parlo con gli italiani”. Può dire “noi non parleremo con gli italiani” chi si candida ad occupare Consigli regionali, provinciali e comunali che sono istituzioni dello Stato italiano, tenute in vita dal rapporto con lo Stato italiano? I movimenti indipendentisti, in Sardegna come nel resto d’Italia, sono ben più vecchi di Bossi e Salvini, lo sappiamo tutti. Non è minimamente in discussione la loro legittimità, qui si parla della natura di una parte di questi movimenti. Ed è difficile non cogliere un nesso tra l’ascesa inarrestabile del leghismo, che è tutta nel suo modo mediatico di presentarsi, e certe nascenti strutture indipendentiste. Quelle che in ogni italiano in Sardegna vedono un clandestino, tanto per tornare al linguaggio di Salvini.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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