A vincere il primo trofeo sanremese (che non ha molta storia, a dire il vero) è stato Motta, accompagnato da un’inossidabile e bravissima Nada che ha aggiunto alla canzone un po’ di armonia, quella richiesta dal direttore artistico Claudio Baglioni. Il brano è ben scritto ma, per quanto mi riguarda, la voce nasale del cantautore rimane sgradevole. Però (ed è un però dal quale non possiamo esimerci) la giuria d’onore presieduta da un immenso musicista come Mauro Pagani ha decretato che Sanremo, quello vecchio e antico, è stato superato dall’ondata di nuovo che Baglioni ha voluto fortemente per questa edizione. E a vincere, attenzione, non è la televisione ma il concetto stesso di televisione che in questo millennio è sostanzialmente diverso: questo Sanremo ha avuto, finora, il record di ascolti nella fascia tra i giovani dagli 8 ai 14 anni (48% di share) ed è risultato il più visto di sempre da chi la musica, ormai, l’ascolta su altri canali: youtube, spotify, apple music. Infatti, la classifica “trending music videos”, vede in testa Irama con “La ragazza dal cuore di latta” (ieri in coppia con una strepitosa Noemi che ha dato aria ad un testo scritto davvero bene, degno di una canzone d’autore). La canzone ha già superato abbondantemente la soglia del milione di visualizzazioni (esattamente due milioni e settecentomila) e, a dirla tutta, non credo ci siano sessantenni, ovvero lo zoccolo duro dei sanremesi, che ascoltano la musica su you-tube e, se ci sono, sono davvero poche. Al secondo posto di questa speciale (e reale) classifica c’è Ultimo con “I tuoi particolari”, canzone che ieri sera cantata insieme a Fabrizio Moro ha subito una metamorfosi: più graffiante, più conturbante e più matura. Al terzo posto (e non avevo dubbi) la canzone che sarà considerata il vero tormentone: Senza farlo apposta, cantata da Federica Carta e Shade (quel “Scusa ma, che me ne importa” è facilissima da canticchiare) che ieri ha aperto il festival e grazie alla partecipazione di Cristina D’Avena è diventata più puffosa. Per trovare una canzone “sanremese” dobbiamo arrivare al quarto posto con i tre ragazzi del volo (continua a non piacermi) poi Cristicchi (ieri con Ermal Meta, il quale ha provato a cantarla ma è stato piuttosto difficile. Rimane una canzone parlata e ben scritta, nulla più). Possiamo dire che il concetto stesso di canzone “sanremese” si è modificato? Direi di si. Baglioni è riuscito dove gli altri non hanno osato e seppure con qualche conservazione (Il volo, Anna Tatangelo e Renga su tutti) ha letteralmente spazzato via i cantanti in naftalina che ogni anno, puntuali, si presentavano sul palco. Da Fiordaliso a Toto Cutugno, Ricchi e poveri, Riccardo Fogli, Al Bano, giusto per ricordare i più famosi. E’ stata un’operazione che è durata due anni e ha mantenuto le promesse: oggi, grazie al direttore artistico, meglio al dirottatore, abbiamo scoperto nuovi modi di cantare, nuove sonorità, nuovi ritmi. Alcuni ci sono piaciuti subito, altri meno. Su tutti, il sanremese anomalo Daniele Silvestri che ieri ha duettato con un sorprendente Manuel Agnelli, meriterebbe la vittoria finale per il messaggio e per la costruzione della canzone; Loredana Bertè, altra falsa anziana con una bella canzone scritta da Curreri e impreziosita ieri dalla voce calda e rocchettara di Irene Grandi; Nek, sanremese solo sotto alcuni aspetti (la sua “Laura non c’è” è rimasta tra le hit di sempre) ma che ieri ha incantato modificando il brano e permettendo a Neri Marcorè di recitare pezzi di Borges.Abbiamo avuto modo di vedere i Negrita, una band progressiva e innovativa per gli anni che son passati e che oggi è diventata un classico; (ieri con un grandissimo Ruggeri) Arisa, la ragazza geneticamente modificata da Mauro Pagani (ve la ricordate la splendida interpretazione, sempre a Sanremo, de “La Notte? Il brano era di Pagani) è riuscita a cantare un brano decisamente originale e che meriterebbe la vittoria. Poi, stasera, come sempre a Sanremo, tutto può accadere e tutto si può stravolgere. Una cosa è certa: l’edizione numero 69 del festival sarà ricordata come quella della rivoluzione. Baglioni è riuscito laddove Fabio Fazio non riuscì nonostante le buone intenzioni: gettare tutte le edizioni ingessate, dove ognuno giocava un ruolo ben preciso e determinato. Su questo palco, al massimo, c’era spazio per una novità all’anno: se passava Vasco Rossi per Zucchero non vi era nessuna possibilità. Le rivoluzioni da queste parti parevano impossibili. Dei 24 cantanti di questa edizione molti erano quasi degli sconosciuti al pubblico adulto: da oggi Irama, Shade, Motta, Mahmmoud, Ghemon, Bombadash, Zen Circus, Ex-Otago, Achille Lauro, Nigiotti, diventano a pieno titolo interpreti da seguire con una certa attenzione perché hanno dimostrato di avere stoffa e passione. I giovani, a quanto pare non sono tutti degli “sdraiati” e seppure lasciano i calzini appallottolati sul pavimento hanno idee e voglia di raccontarle. Se il futuro è passato per Sanremo il merito è soprattutto di Claudio Baglioni. Ammettiamolo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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