Mi sono sempre chiesto, fin da piccolo: ma i ricchi, in fondo in fondo, chi sono? Posso sperare in un ascensore sociale così veloce da poter diventare ricco anche io, posto che non lo sia? Difficile rispondere a questa domanda senza dover scomodare la filosofia e i valori. E’ chiaro che ognuno di noi considera la ricchezza in base al suo peso specifico. Per un angolano essere ricchi è avere in tasca un dollaro al giorno, un peso che, da noi, è decisamente insufficiente. Così come per un ricco prestare dieci milioni di euro ad un amico può sembrare normale. Ce lo siamo chiesti per anni pensando, per esempio a Berlsuconi, e ci siamo sempre chiesti se essere ricchi non portasse all’assuefazione, tanto che avere molti soldi – per chi li ha è chiaro – potesse apparire del tutto normale. Tanto che male c’è? Se i soldi sono suoi può farne ciò che vuole. La domanda, retorica ma non troppo, è sempre quella: ma i soldi sono proprio suoi? L’angolano non ha soldi e per lui un dollaro è la sua ricchezza. Lo usa per sfamarsi. Io, invece, il dollaro o l’euro lo uso per acquistare il quotidiano e per informarmi. Il ricco non ha la sensazione di cosa sia il dollaro e per capire la quantità ha bisogno di molti zeri. Ognuno però, apparentemente è padrone di quel dollaro. Per l’angolano è un dollaro utile, per me futile, per il ricco completamente inutile. Ma serve a costruire ricchezza. Epperò se io ho un solo dollaro dovrò effettuare delle scelte: dovrò pertanto decidere di acquistare il panino e sfamarmi, se ho cento dollari potrò acquistare il quotidiano, sfamarmi e divertirmi, se ne ho diecimila posso tranquillamente fare ciò che voglio. Perché, però l’angolano ha un solo dollaro? E perché il ricco ne ha milioni? Perché, si dice, il ricco ha lavorato sodo e ha diritto a godere del suo ricavo, del suo plus-valore (parolaccia atavica lo so, ma che volete, le teorie economiche son sempre valide). Io vivo del mio stipendio e quindi, dopo aver pagato le tasse ho diritto alla remunerazione. Ma non posso diventare ricco (posto che, personalmente, nel mio metro di giudizio, non mi consideri ricco rispetto, per esempio, a chi non ha uno stipendio fisso) perché non guadagno abbastanza. Il nostro angolano, con il suo dollaro non ha un orizzonte molto florido. Chiaro che, messa così non è una grande discussione: l’angolano rimarrà con il suo dollaro (quando lo avrà) io con il mio stipendio (se continuano ad erogarlo) e il ricco potrà prestare a chi vuole i suoi dieci milioni di euro. C’est la vie. Già. Ma da qualche parte mi ritorna la domanda a proposito dell’ipotetico ricco: ma quei soldi sono suoi? Come li ha fatti? Come è possibile che qualcuno da qualche parte guadagni così tanto? Ma se io prendo, per esempio una mazzetta (è solo un esempio e lo faccio su di me, sia ben chiaro) di diecimila euro e poi mi finanzio la mia campagna elettorale e divento assessore e faccio un favore e riprendo la mazzetta e faccio un favore e tutto è esentasse e continuo a mettere soldi su soldi, poi investo in borsa o nel mattone e poi rivendo e guadagno il doppio e poi, ancora, investo e compro terreni a poco prezzo che da agricoli , grazie all’amico consigliere che ho contibuito a far eleggere diventano zone per appartamenti di lusso, costruisco e chiedo soldi agli amici degli amici degli amici, poi rivendo e investo in un negozio per ricchi e la licenza me la danno perché l’amico che avevo aiutato è diventato nel mentre assessore al commercio e vendo e rivendo, affitto sub-affitto e leasing e amici e arrivo alla buona somma di cento milioni di euro, mi dite come faccio a spiegare a quel povero angolano che non sa spendere e pianificare il suo dollaro? Ecco, chi spiega all’angolano, all’operaio della Fiat, al cassintegrato, al pastore, al bancario, all’impiegato, al dirigente statale che ricchi si diventa, basta saper investire? Vedete, io non capisco molto di economia e passo per idealista, tra l’altro scrivo e le parole le uso per costruire storie. Sono praticamente un fallito. I ricchi, infatti, non costruiscono la storia, la manipolano. Da sempre. Io quando vedo qualcuno che fa la fila davanti alla Caritas mi vergogno. Non perché son ricco (e sono irrimediabilmente più ricco di lui) ma perché non riesco a spiegargli perché con un dollaro qualcuno è diventato milionario. Ci vuole talento, ragazzi, molto talento. Io scrivo storie e lo dico a voce alta. Qualcuno racconta storie e dice che tutto questo fa parte del mercato. Brutta storia questa del mercato. Brutta e sporca. Io scrivo storie e le racconto. Per la voglia di narrare. Qualcuno, invece, è convinto che le balle siano la soluzione alla verità. L’angolano ha un dollaro da spendere e non si vergogna. Lui è, a suo modo felice. Il ricco che regala dieci milioni di euro ad un amico non si vergogna. Ma forse, ripercorrendo la sua storia, dal suo primo dollaro ad oggi, forse, dico forse, dovrebbe farlo. Dovremmo cominciare a modificare il nostro strano orizzonte: anziché pensare di aiutare gli angolani a casa loro, proviamo a giustificare le nostre “strane” ricchezze e, per la prima volta cominciamo a guardare a “casa nostra” perché il marcio, come invece ci vogliono far credere da sempre, non è in Danimarca. Non si diventa ricchi raccogliendo pomodori nel nostro paese. Di quel mestiere da queste parti si muore. Dovremmo cominciare a ragionare sulla divisione della ricchezza e su come pianificare il futuro di tutti. L’angolano aspetta, con il suo unico dollaro in tasca, una risposta da noi e non possiamo più voltargli la faccia.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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