Anche se dalle prime righe potrebbe sembrarlo, questo non è un post sul calcio. Dopo l’eliminazione dai mondiali, come dopo ogni delusione sportiva, in molti hanno stabilito che “il calcio è lo specchio di questo paese”: non siamo capaci più di giocare a pallone, come non sappiamo fare tante altre delle cose che una volta ci qualificavano come Paese civile. “Il solito luogo comune”, mi sono detto, il solito disfattismo totalizzante quando si perde che in un attimo, quando invece si vince, può virare a 360 gradi verso l’esaltazione di tutto ciò che è italiano. A delusione sbollita, qualche giorno dopo ho ascoltato un dibattito sui vivai e la necessità di allenatori qualificati che tirino su i nostri giovani calciatori. E mi sono ricordato di una scena di qualche anno fa, sentita con le mie orecchie. Sabato quasi estivo, seduto al tavolino di un bar con il segretario di un influente assessore regionale. Il Cagliari, inteso come squadra di calcio, era reduce da una stagione negativa e viveva uno dei tanti periodi di rifondazione tecnica. Il telefono del segretario squilla, il segretario sbuffa, mi mostra il numero e roteando l’indice lascia intendere che mi spiegherà dopo. Dall’altro capo del telefono è un giovane consigliere regionale, uno di quelli con un post Facebook sempre in canna per denunciare i mali della politica degenerata e invasiva del nostro tempo, le ruberie, le raccomandazioni eccetera eccetera. Non c’è bisogno che il segretario mi spieghi nulla, perché l’interlocutore ha un tono così alto e arrogante da permettermi di sentire ogni sillaba. Il Consigliere regionale ha, al suo paese, un caro amico che sta muovendo i primi passi nel calcio. Ha cercato inutilmente di farsi ingaggiare in piccole squadre di paese ed è rimasto senza panchina. L’allenatore disoccupato, non c’è bisogno che ve lo spieghi, è un elettore e sostenitore del nostro consigliere regionale. E il nostro consigliere regionale, da giorni, tormenta il segretario dell’assessore affinché, attraverso la via politica, proponga l’allenatore disoccupato come allenatore di una squadra giovanile del Cagliari. Il mio amico sbuffa, annuisce, ad un certo punto appoggia il cellulare sul tavolino e sorseggia il suo caffè, mentre l’altro continua la promozione da piazzista calcistico. La telefonata finisce, ma mezzora dopo quello richiama. Stavolta il segretario non risponde: “È da una settimana che mi sta frantumando i coglioni”, mi spiega. Visto da questa prospettiva sì, il calcio un po’ lo specchio di questo Paese lo è. La raccomandazione, anche sul prato erboso, spesso prevale sul merito, introdotta dal politico che ha fondato la propria reputazione sulla rettitudine e mai avresti pensato capace di mezzi simili. (Comunque l’allenatore non l’hanno assunto).
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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