Perché siamo finiti a discutere di mail non comprese, di slides, di politica degli annunci, di direttorio, di ottimizzazione, di tweet spariti e riapparsi, di live streaming che una volta era obbligatorio ed oggi partono gli insulti se qualcuno lo richiede. Perché ad una considerazione segue sempre un insulto? Mi chiedo e vi chiedo: dove è il sale della politica? Il gusto dello scontro vero, chiaro, passionale, basato sui propri punti di vista entrambi onorevoli, entrambi degni di essere condivisi. Siamo un paese piccolo, provinciale, legato alle piccole fazioni, siamo sempre sull’orlo di una crisi di nervi perché qualcuno ha scritto qualcosa che riteniamo contro la nostra parte, contro il nostro partito o movimento. Siamo perdenti a prescindere. Non sappiamo neppure vincere, non sappiamo neppure distinguere un avviso di garanzia da un rinvio a giudizio. Ormai anche la multa per divieto di sosta merita la gogna mediatica a meno che a prenderla, quella multa, non sia uno della tua parte. Allora sono i vigili che non capiscono, che il cartello non si vedeva, che è un complotto contro la tua auto. Siamo una paese senza. Lo scriveva, in un bellissimo saggio, Alberto Arbasino negli anni ottanta. Chissà cosa scriverebbe oggi, alla luce degli ultimi avvenimenti. Un paese senza un disegno chiaro, senza una passione vera per la politica, senza limiti alla decenza, senza argomenti se non urlare e sbraitare insultando il proprio avversario. Come se cambiasse qualcosa, come se fosse lecito, come se fosse utile. Un operaio, nel 1979, non sopportò chi tentava di provare ad imporre le proprie idee con la forza e la violenza. Denunciò quel modo di fare. Quell’operaio si chiamava Guido Rossa. Fu ucciso dalle brigate rosse in un clima livido e terribile. Che, per fortuna non si è più riproposto. Ma continuiamo ad accavallare discorsi, pensieri, tweet, senza mai definire il contenuto vero: siamo un paese senza tele da disegnare, abbiamo gli archivi pieni di immense cornici. Personalmente non credo si possa continuare a ragionare in questo strano modo: prendete il referendum costituzionale. Sfido chiunque a spiegare cosa cambierà se viene approvato o bocciato. Tutti ad insultare o difendere Renzi. Nessuno che prova a razionalizzare e cercare di costruire un’analisi. Io, per esempio, dopo aver letto attentamente tutte le modifiche, non ho ancora deciso cosa voterò. Ho paura a dire semplicemente si o no. Ma sono altrettanto convinto che se provassi a motivare il mio consenso o dissenso sarei subito etichettato, osannato, insultato. Siamo un paese senza più discorsi, motivazioni. Viviamo di sussulti virtuali. Una volta ci si mandava affanculo guardandosi negli occhi. Oggi basta un semplice messaggio nella bacheca in attesa di un mi piace che ci rende la vita più tranquilla. Non mi sembra un paese serio quello che rischia di candidare a Presidente del Consiglio qualcuno che non capisce i contenuti di una mail. Non abbiamo bisogno di gente che impara dal Bignami la politica, abbiamo la necessità di persone che decidano di abbracciare la professione di politico. L’onestà aiuta ma da sola purtroppo non basta.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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