Dentro i miei dieci anni, le figurine e Giggiriva, nascondino e mosca cieca irruppe, senza che io riuscissi davvero a capire l’entità e la forza del gesto, Jan Palach. Apparve nel telegiornale in bianco e nero, la sera del 16 gennaio del 1969, dopo che alle 19 era passata la puntata dei ragazzi di Padre Tobia. Un giovane di appena 21 anni, a Praga, in un altro universo, si recò in Piazza San Venceslao e, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, si cosparse il corpo di benzina e si diede fuoco. Questa la notizia che passò e che io, davvero, a quel tempo non potevo comprendere e neppure intuire. Quel ragazzo però mi rimase impresso nella mente, forse il gesto, forse il fatto che a quei tempi facevo la raccolta dei francobolli e quelli della Cecoslovacchia erano bellissimi, ma cominciai, da adolescente, ad occuparmi di lui. A quindici anni avevo messo insieme molte notizie su Jan Palach, tanto che scrissi un tema molto intenso sulla sua vita e sulla sua scelta estrema. Lo aveva fatto, quel gesto, per protestare contro l’invasione di uno Stato straniero nella sua Praga. Avevo imparato a memoria la canzone di Guccini, avevo letto alcuni stralci dei suoi diari e mi aveva colpito che quel gesto era dedicato ad un popolo sull’orlo della disperazione e rassegnazione e la protesta serviva per scuotere le coscienze. Palach morì dopo tre giorni di agonia. Quel popolo si scosse e al suo funerale parteciparono oltre cinquecentomila persone. Il paese, la Cecoslovacchia aveva capito. La primavera sarebbe, seppure con molta fatica, ritornata a splendere. Sono stato a Praga nel 1996. Il mio piccolo albergo era vicinissimo a quella bellissima piazza che oggi è intitolata a lui. Durante il breve soggiorno in quella città magica e magnifica ho pensato moltissimo a Jan Palach, al suo gesto, alle sue piccole e immense parole, a quanto gli ideali sono importanti per far maturare la coscienza critica di un popolo. Se andate a Praga, vi prego, non pensate solo a Franz Kafka, non innamoratevi della bellezza sublime del quartiere di Staré Mesto e di Malà Strana. Passate in piazza Jan Palach e soffermatevi un attimo e pensate al gesto. Un uomo, un ragazzo che ha creduto nel futuro ha regalato la sua vita affinché altri potessero disegnare nuovi orizzonti. Compresi i nostri. Quando penso a Jan Palach la camera dei ricordi si riempie di molte facce risorgimentali e della Resistenza italiana. In fondo sono i gesti a plasmare un popolo e a dargli l’orgoglio e la coscienza. Noi siamo qui anche grazie anche al sacrificio di Jan Palach.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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