Che sia sonoro o muto giocoliere del silenzio sempre del cinema mi prende quel suo dire del tempo con lo spazio se sfoglia il calendario a fogliettini mentre si fanno uomini i bambini, un seme in un minuto si fa pianta con fiori e frutti e semi ancora nuovi. Vedi al rallentatore un’ape che impollina il fiore Marilyn sulla grata dello sfiatatoio Maradona che segna in rovesciata Charlot nella prigione dei tempi moderni l’osso-clava preistorico di Kubrick che lanciato diventa la navetta spaziale del futuro alla scoperta degli umani destini oltremondani.
Non è roba mia. E’ di Giulio Angioni, scrittore, antropologo e poeta, in ordine casuale, tanto eccelle in tutto. E’ la più bella emozione di cinema che mi sia capitata sotto gli occhi negli ultimi anni. L’ha pubblicata il 5 febbraio sul suo profilo Facebook per l’ottantesimo anniversario dell’uscita di “Tempi moderni” e io gliela rubo oggi, due giorni dopo, per un altro anniversario che riguarda Chaplin: il 7 febbraio del 1914 uscì il primo cortometraggio con The Tramp, il Vagabondo, quello che nei Paesi dove non si parla l’inglese venne subito chiamato Charlot. Si chiama “Kid auto races at Venice”, Corse automobilistiche per bambini a Venice (Los Angeles), ma in italiano l’hanno intitolato “Charlot ingombrante”. Il corto è talmente bello (lo trovate su You Tube) che neppure questa raccapricciante traduzione riesce a rovinarlo. E’ la storia di una corsa disturbata dalle invasioni di pista di questo signorile straccione. La corsa è vera, il pubblico anche. E’ quasi come lo Specchio Segreto di Nanni Loy, dove una telecamera nascosta registrava le reazioni della gente alle provocazioni degli attori. Nel corto con Charlot la macchina da presa non era nascosta, ma in quel 1914 non era un attrezzo così familiare a tutti da rovinare la spontaneità dei comportamenti. Quindi quel pubblico prima perplesso e poi immensamente divertito dagli svagati dispetti del Vagabondo, è proprio un vero pubblico con le sue vere risposte. E l’aspetto straordinario è che Charlie Chaplin, creatore e interprete di uno dei più grandi personaggi delle arti visive, e il suo regista Hanry Lehrman poterono studiare l’indice di gradimento di Charlot contestualmente al suo primo comparire. E’ passato più di un secolo, ma niente ha superato quella maschera nel rappresentare la rivolta degli umili contro il potere ottuso e prevaricatore. Non la rivolta delle masse eroiche e potenti di Ejzenstejn ma quella individuale e altrettanto eroica dello straccione gentile, solidale con ogni povero e ogni debole contro chiunque rappresenti l’ingiustizia: dal riccone sprezzante al poliziotto stolido e violento. Forse questa sua visione del mondo e questo esempio hanno contribuito alla diffusione del principio di giustizia sociale nel mondo e nei tempi più di tante altre opere e atti che formalmente rappresentano questa categoria. E per questo motivo Charlot non è mai stato troppo ben visto né a Ovest né a Est da chi incarnava il principio della diseguaglianza, questa parte così retriva del potere e così insita in esso. Chaplin ha inventato un apice della lotta per la giustizia unicamente con un atto creativo relativo all’arte, senza alcuna finalità politica programmata. Un impegno efficace forse perché muto, mai trasportato dalla parola, ma solo dagli splendidi gesti di quel corpo vestito di pantaloni troppo larghi, di una giacca troppo stretta, grandi scarpe e un cappello striminzito e dal volteggiare di quel bastoncino. E’ vero, tutto il cinema era muto. Ma anche quando acquistò la parola, proprio con quel “Tempi moderni” cui si riferisce Giulio Angioni nella sua poesia, lo Charlot operaio non ne approfittò e continuò a recitare soltanto con il corpo la sua ribellione contro il potere. Charlot, o qualcuno che somigliava molto a lui, parlò per la prima volta quattro anni dopo, nel “Grande dittatore”, un film che contribuì a spiegare al mondo chi fosse Hitler quando ancora esistevano molti equivoci e molta ignoranza sul nazismo. Il barbiere ebreo così somigliante a The Tramp parlò, fece un memorabile discorso. Ma poi scomparve anche quell’ombra del più grande vagabondo di ogni tempo. E restò soltanto Chaplin.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design