di Maria Dore
Per gli appassionati di sport e non che si sono chiesti come mai il Giro d’Italia 2018 sia partito da Israele, c’è un interessante pezzo comparso nei giorni scorsi sulla stampa.
L’articolo parte spiegandoci cosa succede già dal Novembre 2017, quando fervono i preparativi, anche mediatici; i rappresentanti di RCS Sport confermano che il Giro partirà da “Gerusalemme Ovest”: il governo israeliano sbotta e minaccia. Gerusalemme è nostra, una sola, o vi adeguate o vi scordate i soldi. Il direttore del Giro, Mauro Vagni, obbedisce. La dicitura si tratta di una svista e, precisa, il Giro è in Israele per puro sport e non per politica.
Eppure, che si tratti “solo” di sport e che partire da Gerusalemme sia come partire da Catania è davvero difficile da credere. Difficile come coprire gli spari dei cecchini israeliani contro civili e giornalisti col rumore di una pistola da starter che annuncia l’inizio dello spettacolo.
Lo si capisce anche dalle parole di un’altra figura chiave dietro al progetto, il miliardario Sylvan Adams, ebreo rumeno di recente immigrato in Israele: il Giro è una vetrina per il paese, ci sarà un boom del turismo. Abbellire l’immagine del paese, insomma, fare propaganda. Lo aveva fatto notare, mesi fa, un’associazione di oltre 120 organizzazioni umanitarie con base a Bruxelles, l’ECCP. “Il giro sarà una copertura per l’occupazione militare della Palestina e la violazione dei diritti umani”.
In seguito si aggiungono altri interventi a far dubitare che l’auspicio di Vegni sia vano, se non in malafede, per buona pace di coloro che si ostinano a sbuffare affermando che la politica debba restare fuori dallo sport e dal ciclismo. Una lettera firmata da 29 membri del Parlamento Europeo è recapitata al presidente dell’unione ciclistica internazionale, David Lappartient, il quale, con grande tempismo, assicura che l’organizzazione da lui presieduta monitorerà affinché la manifestazione non venga utilizzata a scopo politico. Troppo tardi, presidente, fa eco Eleonora Forenza, europarlamentare italiana. E infatti, a smentire Lappartient, arriva la gongolante dichiarazione del governo israeliano, per bocca del ministro degli affari strategici: il giro è un’ulteriore prova della legittimazione per lo stato d’Israele.
Dice bene, l’autore del pezzo. Quale dovrebbe essere la reazione del mondo sportivo davanti a questo scenario? Pare che la maggior parte dell’establishment sportivo e degli addetti ai lavori, abbia preferito il silenzio. E non parliamo della parte italiana, per carità, stampa compresa, ovviamente. Eh, sì, perché il pezzo che ha raccontato tutto questo alla vigilia della prima tappa è firmato da tale Tom Cary, giornalista del quotidiano The Telegraph. È la stampa, bellezza. Quella britannica.
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