Olbia si prepara ad andare alle elezioni. Non è un confronto amministrativo di poco conto, perché Olbia è una città con ricchi interessi e trend di espansione che si mantengono molto elevati, oltreché un polo di immigrazione. Francamente ignoro i temi forti della campagna elettorale, che a occhio non mi sembrano molto dissimili da quelli delle precedenti tornate: le ricette per rafforzare il turismo, gli antidoti alla cronica crisi di Meridiana, il rischio idrogeologico e le misure forti proposte dai fanatici della sicurezza. So per certo, invece, che un tema è stato accuratamente evitato, forse perché rimosso dalla memoria collettiva e certamente perché a molte delle parti in causa conviene tenersene accuratamente alla larga: quello delle comprovate penetrazioni della ‘ndrangheta in città. Sono passati otto anni da quando la magistratura di Milano aprì l’inchiesta Dirty Money e venne diffusa l’ordinanza – un tomo di diverse centinaia di pagine – che raccontava come la cosca Mesoraca di Crotone stesse investendo i propri soldi sporchi acquistando centinaia di ettari di terra a Olbia, incuneandosi in città con l’aiuto di imprenditori, politici, professionisti e procacciatori d’affari del luogo, chiamati in causa da un avvocato milanese molto noto in Gallura. Chi vuole sminuire il lavoro dei magistrati ricorda ad ogni possibile occasione che un’accusa è solo un teorema, ma leggendo le intercettazioni ambientali di quell’inchiesta il contesto appariva di una chiarezza raggelante: molti notabili olbiesi non si facevano scrupolo di condividere affari con questa gente e persino di chiedere loro soldi in prestito. Mi restò impresso il colloquio tra un uomo d’affari di Olbia e un emissario della cosca, ucciso due mesi dopo in Calabria con un’esecuzione in classico stile mafioso.
Quando qualcuno provò a portare la questione in Consiglio comunale, venne zittito: quando qualche giornalista mise in evidenza gli imbarazzanti intrecci societari tra imprenditori locali e prestanome della cosca calabrese, venne intimidito con minacce di cause milionarie. Poi sul filone sardo dell’inchiesta calò il silenzio e in seguito nessuno sembrò interessato ad approfondire queste relazioni, preoccupanti proprio perché dimostravano le complicità tra territorio e criminalità. Il caso è rimasto in sospeso, nell’indifferenza generale. La politica aveva tutto l’interesse a custodire il silenzio, ma un elettorato consapevole avrebbe dovuto chiedere conto di questi inquinamenti e domandarsi quali rischi avesse corso la comunità, anche affidandola a politici dal dubbio senso di responsabilità.
La verità che non vogliamo sentirci dire è che la politica, anche la peggiore, rappresenta la gente. Quando un politico finisce in manette perché accusato di corruzione o perché invischiato nella peggiore criminalità comune, tendiamo ad assolverci concludendo che la politica è sporca. Ma questa gente a far politica ci è arrivata perché un folto elettorato l’ha sostenuta con il proprio voto, evidentemente riconoscendosi in quel modello di politico. Il politico dalla promessa facile, che pesca nel torbido travalicando senza scrupoli il confine della legalità. Ne conosciamo tutti, di questi esemplari, ma poco importa: a chi ha speso una preferenza legge e morale non interessano. Smettiamola, dunque, di dire che la politica è sporca. Un gran parte dell’elettorato lo è molto di più.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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