Siamo seduti sui gradini di porfido, riparati dall’ultima ombra, prima che il sole di mezzogiorno si impossessi di strade e case e la Mamma del Sole passi per relegare tutti al buio degli anditi freschi. I calzoni corti e i sandali con gli occhi, che hanno già raccolto tutte le pietruzze del selciato che ora si infilano fastidiosamente tra le dita dei piedi, sono quelli della festa. Il profumo de “sos biscottos” che si spande nell’aria ci preannuncia il giorno speciale. Dietro le persiane verdi, incastrate nei muri di calce bianca e chiuse per il sole e per la curiosità, ci sono occhi e respiri che scrutano la piazza, segnata dalla riga del sole e divisa in due dall’ombra della chiesa. Ancora chiusa. E noi li, ritirati nell’ombra, i sacchetti di grano in mano. E Giuseppe non si vede. Sta dentro il portone di casa, Giuseppe. Bermuda blu con la piega, camicia bianca e sandali lucidi sopra le calze bianche, corte. Le gambe secche dei cinque anni come noi e le ginocchia ancora sbucciate, se ne sta li seduto sulla sedietta di paglia in cucina a guardare i biscotti coperti dalla tovaglia di lino. E non esce. Già noi ci avevamo capito poco di questa cosa qua, però i grandi ci avevano detto di lasciar perdere. Sono così i grandi, quando non rispondono, segnano il confine tra noi e loro. Però tra di noi ne abbiamo parlato a lungo, quasi come i grandi, ma quel rebus di Giuseppe che la mamma ce l’ha e quindi, se ce l’ha, vuol dire che la mamma è già stata sposa, perché le femmine prima si sposano e poi diventano mamme e poi, quando sono vestite di nero, anche nonne, insomma quel rebus non lo abbiamo risolto. I grandi non ci hanno aiutato e quindi alla fine abbiamo lasciato perdere, invidiando comunque Giuseppe che c’ha la mamma che si sposa, lui, e quindi va alla festa e mangia i biscotti prima di noi e più di noi, e magari gli toccano pure le buste coi soldi. Da noi a casa invece tutto normale, ci è toccato che non c’eravamo al matrimonio di mamma e nemmeno a quello di babbo, che poi era lo stesso, e avanziamo dalla vita un credito di biscotti e di buste che però non incasseremo mai. Intanto l’ombra è finita e la pelle dei sandali si scalda al sole mentre il porfido caldo odora di sabbia che sembra di essere al mare. La piazza ora è tutta bianca, come la sposa che non c’è, il portone della chiesa chiuso e le palpebre verdi delle persiane a nascondere ancora occhi e respiri. Il sudore ci scivola dai capelli con la delusione, i sacchetti di grano per terra mentre zio Antonio ci chiama dall’angolo, mezzo nascosto dallo spigolo dell’ombra, e ci dice di tornare a casa. La piazza è vuota, Giuseppe non si è visto, nemmeno la sposa e nemmeno il soldato, quello che sembra il cugino di Giuseppe e invece è il babbo o lo zio, insomma, lo sposo. Non ci abbiamo capito molto, qui seduti nell’andito, prigionieri della Mamma del Sole, e nemmeno capiamo i discorsi sussurrati in cucina, nonostante le orecchie tese come quelle dei gatti. Tutto è avvolto nei silenzi, anche gli sguardi, come la tovaglia di lino sui biscotti a casa di Giuseppe. Anche la piazza là fuori e le palpebre verdi stanno avvolte nel lino bianco del sole. Mamma intanto ci ha fatto gli gnocchetti col sugo e pure la salsiccia, quella di zio Antonio che è sempre buona, e io mi son già macchiato i calzoni corti ma lei non mi ha sgridato, oggi no. Ci toccherà aspettare quando saremo grandi e potremo andare al bar a berci un bianchino per capire quella piazza muta, levare il telo di lino e bagnare le labbra nel vino e nelle cose altrui. E nella piazza, oltre la treccia di plastica colorata della tenda del bar, non si sentirà niente. Come è giusto che sia.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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