Ho immaginato un incontro una notte, con lui, nei giardini tra Piazza dei Cinquecento e Piazza Esedra, a Roma. Nel 1978. Perché da quelle parti tutto partì e tutto, incredibilmente si concluse. Cominciammo a camminare da un cinema che allora era malfamato, uno di quelli “a luci rosse”. Poi Via Nazionale, via del Corso, via delle Botteghe Oscure, via Caetani. “Qui, hanno ritrovato il corpo di Moro” gli dissi. Lui non lo sapeva. Rispose con calma, con una di quelle frasi che ci riportano all’impegno e all’essenza della vita. “Il regime democristiano era la pura e semplice continuazione del regime fascista. Però, se un giorno vorrai raccontare qualcosa, ricordati che uno scrittore scrive sempre in polemica e ricordati, soprattutto, che gli uomini di potere, passeranno sempre dalla fase delle lucciole alla fase della scomparsa delle lucciole senza accorgersene.” Ci lasciammo in largo di Torre Argentina, davanti al teatro. “Non fare mai la comparsa”, mi disse “Piuttosto è meglio rimanere spettatori”.
Quell’incontro è stato raccontato nel mio lunghissimo tema di maturità. Una storia che fece discutere moltissimo la commissione d’esame che mi accusò di essere troppo “maturo” per i miei diciotto anni. Poi, però, compresero quando agli orali mi presentai con un lavoro stranissimo, scritto con la mia piccola Olivetti 32: Pavese e Pasolini: due suicidi anomali. Ecco, la mia giovanissima età e la spavalderia mi portarono ad avere uno strano atteggiamento saccente e di sfida nei confronti di chi, probabilmente, considerava Pasolini un eretico che non poteva essere citato alle scuole superiori. Mi salvò, con grande maestria, la mia Professoressa d’italiano, allora commissario interno, spiegando a tutti che avevo anche scritto un bellissimo tema su Salò e le 120 giornate di Sodoma, paragonandolo ai gironi danteschi. Ne approfittarono per interrogarmi su Dante, ma questa è un’altra storia. La morte di Pier Paolo Pasolini è una ferita che non ho mai superato insieme, probabilmente, a quella di Moro, chiaramente per motivi assolutamente diversi. Pasolini rappresentava la parola, la forza intellettuale, la gioia di poter leggere pagine che molte volte, a quell’età, mi risultavano incomprensibili, ma scritte con una passione che mai più ho trovato da altre parti. Lui, PPP, mi accompagna senza sosta dal 1973, quando cominciai a leggere su Corriere della Sera i suoi editoriali, sino a quello che mi cambiò la vita: Che cos’è questo golpe? Apparso sul Corriere il 14 Novembre 1974 e pubblicato, successivamente, nel libro “Scritti corsari” con il più famoso titolo “Il romanzo delle stragi”.
Io so. Quel cantilenante e forte ripetizione: io so. Sino a giungere alla frase più alta e più bella. “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.”
Avevo quindici anni e molti passaggi mi erano oscuri. Ma queste parole le imparai quasi a memoria e da quel giorno, seppure goffamente, ho provato a mettere insieme molti pezzi disorganizzati e frammentari di un quadro politico, ho provato in qualche maniera a comprendere la follia ed il mistero. Tutte le volte che passo per Piazza Esedra, cammino per via Nazionale e arrivo a Largo di Torre Argentina mi sembra di non essere mai da solo, di essere con Pier Paolo Pasolini, un uomo cui l’immensa passione per le cose non concesse mai il perdono. Scritti corsari è sempre sul mio comodino e, grazie alla tecnologia è sempre con me, nel tablet. Continuo a non avere le prove e neppure gli indizi. Ma rimango qui, a scrivere, ad osservare, ad essere curioso e lo faccio, molte volte, pensando immensamente a Pier Paolo Pasolini.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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