Sono trascorse già due domeniche da quando Mustafa è partito. Due settimane in cui ho attraversato lo spazio tra l’auto e le scale mobili che portano al supermercato senza vedere le sue statuette in legno, le bacchette deodoranti e i libri chiusi nelle borse sportive. Due settimane in cui, voltando lo sguardo a destra e a sinistra in quello spazio neutro tra gli ascensori e il garage, ho pensato che quello spazio fosse stato costruito apposta per lui. Ma lui non c’era, e quel vuoto mi ha portato a pensare all’errore di un ingegnere a corto d’idee. Dieci metri quadrati totalmente inutili, senza quel colpo di genio venuto a Mustafa forse sette, otto anni fa: un bazar alternativo, uno spazio che predisponesse all’acquisto di oggetti forse più importanti, ma meno intimi, un luogo dell’incontro che difficilmente, sopra, si sarebbe trovato, presi come siamo a immergere le nostre teste tra gli scaffali dei surgelati e quelli del vino. Insomma, Mustafa non ci sarà più, per due mesi, forse di più e io me ne dovrò fare una ragione. Così ho continuato a camminare e sono andato a fare la spesa. Quando sono sceso mi è venuto di cercarlo nuovamente e cercando lui mi sono girato a vedere se, magari soltanto per lucrare sulla sua assenza, ci fossero altri Mustafa a sostituirlo. Ho visto allora due, tre ragazzi, lunghi forse due metri che muti, con un berretto di maglia, cercavano di intercettare i carrelli che toccavano quasi sempre a Mustafa, come regalo aggiuntivo, saluto o semplicemente risarcimento per un acquisto non fatto soltanto per mancanza di soldi, che queste cose Mustafa le capiva. E invece loro no. Mi è parso, infatti, che questi ragazzi, molto simili a quelli di molti altri parcheggi, questo discreto risarcimento non lo capissero. Li ho osservati e ho visto che si avvicinavano, sempre muti, biascicando un sorriso sghembo, tampinando il cliente fino a quando non ricevessero il carrello e solo allora facendogli capire con un gesto deluso che si aspettavano altro e che quello era in realtà un misero surrogato rispetto alle loro aspettative. Sono gli stessi ragazzi che al parcheggio della grande banca sarda in Viale Bonaria ti seguono nonostante il parcheggio sia a pagamento e tu non gli debba nulla in cambio. Gli stessi che ti ipnotizzano all’ingresso del parcheggio della banca di credito a fianco, dove i parcheggi non sono a pagamento, e lì sì che possono estorcerti anche cinque euro per un pacco di calze inutili. Gli stessi che ormai chiedono l’elemosina agli angoli delle strade, sempre più numerosi, quasi a decine nel percorso della tua passeggiata a piedi o ai semafori dello stesso viale cinque o sei volte ancora. Ecco, allora mi chiedo cosa pensino queste centinaia di ragazzi, forse arrivati con i barconi come Mustafa vent’anni fa, ma vestiti con pantaloni e magliette quasi alla moda. Perché non si riempiano una borsa di oggetti particolari, speciali, oggetti magari graditi ai visi bianchi invece di tenere in mano quel pacchetto simbolico di fazzolettini inutili a se stessi, a chi dovrebbe acquistarli, a chi li ha a loro regalati. Forse perché muoversi così, agilmente, con la presunzione di ricevere un gesto unilaterale da parte dei padroni di casa è più comodo che acquistare un’auto, rifornirsi di oggetti, trasportarli e rivenderli ogni giorno come faceva Mustafa? Forse sì. Forse perché le persone come Mustafa sono sempre più rare, in Africa come in Europa, e allora, finalmente, capisco che proprio per questo lui così tanto mi manca.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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