Il 21 settembre del 1955 l’arcivescovo di Sassari monsignor Arcangelo Mazzotti varcò la soglia della bottega del fabbro maestro Marcellino. Lo fece da solo e senza troppi fronzoli, nonostante contasse più del sindaco e fosse anche in vago sentore di santità per avere capeggiato nel ’43, sulla scalinata del Duomo, quel riuscito voto alla Madonna allo scopo di risparmiare la città dai bombardamenti. La storia ufficiale racconta soltanto la formula della promessa di una processione all’anno e tramanda l’immagine ieratica del presule, tipo Pio XII nei quartieri bombardati di Roma. Però alcuni testimoni, tra cui forse lo stesso maestro Marcellino, mormoravano che monsignore, più che preso da una sacrale ispirazione, fosse proprio incazzato e che avesse sollecitato un po’ brusco un immediato e definitivo intervento nei confronti dell’aviazione americana. Comunque sia, monsignor Mazzotti era da tutti amato e rispettato e quando entrò in bottega guardandosi intorno, i lavoranti smisero di fare quello che stavano facendo e lo fissarono stupiti. Lui aveva un po’ di fretta perché doveva ordinare un cancello nuovo per l’arcivescovado. Roba delicata, urgente e costosa: c’era da trattare sul preventivo e il padrone dell’officina a questo proposito era un osso duro. -E maestro Marcellino non c’è? Il più anziano dei lavoranti fece un passo avanti -Monsignò, è azzadu u’ mamentu a casa. Abà lu ciamu. Uscì sulla piazzetta e urlò verso le finestre del secondo piano sopra la bottega. -Masthru Marcellì, mì chi v’è monsignori. Il fabbro arrivò dopo un minuto in bottega un po’ trafelato ma conservando tutta la dignità di onorato e famoso artigiano oltre che di autorevole dirigente del gremio dedicato Sant’Alò, che pur non essendo allora gremio di candeliere era uno tra i più potenti. Dietro veniva, affaticata per la corsa sulle scale perché già soffriva di cuore, la moglie signora Speranzina, tutt’altro che bigotta, anzi, ma profondamente credente e convinta che quell’odore di santità non fosse del tutto inventato. Non si metteva mai in mezzo agli affari del marito, ma voleva anche lei salutare monsignor Mazzotti. E fu allora che maestro Marcellino, prendendo la mano dell’arcivescovo per baciare l’anello, gli disse in scherzoso tono di rimprovero -Cazzu parò, monsigno’, chi imprubisada! A dire il vero l’unica a restarne costernata fu la signora Speranzina. I lavoranti si limitarono ad assentire sorridendo, mentre monsignor Mazzotti quasi si scusò -Cosa vuole che le dica, maestro. Passavo qui davanti e mi sono detto: il lavoro è urgente e bisogna che mi decida. I soldi in qualche modo li troveremo, anche se ce ne sono pochi, e quindi sono entrato. E continuò spiegando che cosa voleva, riprendendo subito dopo l’argomento del costo dell’opera che aveva furbamente posto di sguincio all’inizio del discorso. Così i due cominciarono a parlare e la signora Speranzina tornò a casa, meditando su quella brutta parola. A pranzo ci fu il redde rationem. -Maraducadu! -Eiu? E pa cosa? -Pa cosa ai dittu chissa paraura fea a monsignori. -Eiu? E ca paraura fea? -Già lu sai! -Eiu no aggiu dittu nisciuna paraura fea a monsignori. Tu mi pari mancanti, oggi. Bè ti intendi, Ipiranzì? E non ci fu niente da fare. La parola c’era stata ma soltanto lei l’aveva notata e classificata come brutta. Perché se anche in un momento di aberrazione mentale maestro Marcellino fosse andato in curia a scusarsi, il sant’uomo sarebbe caduto dalle nuvole. Quale brutta parola? Monsignor Mazzotti, pur venendo da Brescia, era da così tanto tempo a Sassari e si era così mischiato alla città che quella parola era anche per lui una normale presenza lessicale, utile anzi più di altre per esprimere una gamma vasta di significati e di sentimenti. E nel caso di maestro Marcellino era l’espressione di una comprensibile sorpresa per una visita così importante e inaspettata. Oltre che, probabilmente, la manifestazione di un certo disappunto per non avere potuto prepararsi per tempo ad affrontare il problema del compenso, contrattazione difficile e imbarazzante, vista la portata del committente. E a pensarci ora, non è detto che questi non lo avesse fatto apposta a piombare in bottega senza preavviso, cazzu!
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design