Accettiamo di ascoltare uno che sieda dietro una cattedra solo se può dimostrare la sua autorevolezza, per la quale ormai comunemente si intende un bravo curriculum con adeguati titoli di studio e una fedina penale pulita. Se vuoi insegnarmi qualcosa, devi saperne qualcosa più di me. E quel qualcosa in più dev’essere dimostrato da un pezzo di carta e da una buona reputazione. Se a salire in cattedra è qualcuno che questi titoli non li ha, né accademici né morali, concludiamo subito che questo qualcuno non abbia nulla da insegnarci. Io sono convinto che si abbia molto da imparare anche da persone che non possiedono questi requisiti formali. Qualche giorno fa è esplosa la polemica sull’intervento alla scuola della magistratura dei terroristi di sinistra Adriana Faranda e Franco Bonisoli, dissociatisi da tempo dalla lotta armata. Intervento poi saltato, anche per l’indignazione del magistrato Alessandra Galli. Alessandra Galli era figlia di Guido, anch’egli magistrato, caduto sotto i colpi dei terroristi di Prima Linea nel 1980. Un’amarezza, quella di una figlia privata del padre, più che comprensibile e assolutamente legittima. C’è da capirla, ci mancherebbe. Eppure io sono tra coloro che ai terroristi avrebbero permesso di parlare. Cos’è stato il terrorismo politico in Italia? E stato, principalmente, l’impazzimento di giovani certi di avere la verità in tasca, così convinti delle loro idee da ritenerle più importanti della vita di altri uomini, quando in essi vedevano l’avversario da abbattere. È stato il preferire l’eliminazione fisica al ragionamento ed al confronto democratico, secondo logiche squadristiche. È stato La Notte della Repubblica, secondo il celebre titolo di Sergio Zavoli.
Noi non sappiamo tutto di quei quindici anni di sangue per le strade, di innocenti uccisi perché secondo i terroristi rappresentavano lo Stato capitalista e borghese da demolire. Però sappiamo che fu sostenuto da decine di intellettuali, cui ancora oggi è riconosciuto un grande prestigio, sappiamo che mentre la gente veniva falciata qualcuno di questi intellettuali arrivò a formulare il motto “Nè con lo Stato né con le Br”. Sappiamo che ci vollero molti anni prima che Rossana Rossanda, con la metafora dell’album di famiglia su Il Manifesto, avesse il coraggio di rompere l’omertà della sinistra su quella cellula tumorale che le si era sviluppata in corpo. Sappiamo, in definitiva, che l’Italia venne tenuta in scacco da una banda di ragazzi provenienti dalla contestazione studentesca e dalle fabbriche, molti di loro col mito della lotta partigiana, tanti altri con una solida formazione cattolica – Renato Curcio e la moglie Mara Cagol, per citarne due – che non ritenevano incompatibile la loro fede con la lotta armata, magari perché affascinati dalla figura del prete-guerrigliero sudamericano Camilo Torres. Sappiamo anche che il terrorismo di sinistra riscosse grandi simpatie nelle fabbriche, almeno fin quando non iniziò a colpire nelle fabbriche stesse: il brutale omicidio per rappresaglia del sindacalista Guido Rossa segnò la svolta e aprì gli occhi. Però, fino allora, milioni di persone si convinsero che le armi potessero sostituire la politica. Com’è stata possibile questa follia collettiva? Chi l’ha permessa? Ne siamo stati definitivamente vaccinati? Io non credo sia sensato rimuovere o far finta che tutto ciò non sia accaduto. Bisogna ricordare il sangue di chi è caduto e i drammi personali di chi si è visto togliere persone care. Ma per capire bisogna anche ascoltare la parola di chi, pentito, impugnava le armi, convinto di poter modellare un mondo più giusto eliminando ostacoli in carne ed ossa. Ecco perché io Adriana Faranda e Franco Bonisoli li avrei fatti parlare.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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