Per anni ho cercato di associare un’immagine che la rappresentasse completamente alla “Pace terrificante” cantata con voce angosciante da Fabrizio De Andrè in “La domenica delle salme”. Avevo raccolto molti indizi, ma nessuno del tutto convincente.
L’altro giorno ho visto “City of god”, un film brasiliano del 2002, e ora credo di aver trovato una soluzione alla mia indagine personale, ma anche ai recenti e sempre più contrastati appelli di Roberto Saviano sul persistere della malavita in Campania.
“City of god” è la traduzione in inglese di Cidade de Deus, una delle più malfamate e violente favelas di Rio De Janeiro, venuta su negli ultimi cinquant’anni e riconosciuta come autonomia nel 1981. I registi Fernando Meirelles e Katia Lund, basandosi sul romanzo autobiografico di uno scrittore nato in questo disastrato quartiere, ne hanno fatto una pellicola molto celebrata all’estero, nominata per gli Oscar e il Golden Globe, ma poco conosciuta in Italia.
L’essenza di quest’opera, vista attraverso gli occhi dell’aspirante fotografo Buscapé, sono le gang minorili che nei decenni scorsi si sono fronteggiate per spartirsi il mercato della droga. Bambini cresciuti tra povertà, sangue, analfabetismo, degrado urbano e una sporcizia, nelle cose e nei modi, paragonabile a quello filmato da Ettore Scola in “Brutti, sporchi e cattivi”. Bambini che rubano e picchiano e poi, già prima dell’adolescenza, iniziano a girare armati, perché qua non c’è altra legge che valga se non il piombo. Dilaga la corruzione nella polizia, schierata sottobanco con l’una o l’altra banda, così da completare il ritratto di un inferno cui nessuno può sottrarsi. Nessuno può sottrarsi perché star fuori da questo sistema è forse più rischioso che esserne coinvolti.
I più feroci, tra questi bambini, sono poi diventati i boss del quartiere, uccidendo senza pietà i rivali. Uno su tutti Zè Pequeno, giovanissimo criminale senza scrupoli dalla mente fortemente disturbata. Sotto il controllo suo e dei suoi stretti collaboratori lavorano, consegnando droga e vigilando su possibili blitz della polizia, quasi tutti i minorenni di questa città di 40 mila abitanti. Quando escono dal quartiere, rapinano banche e locali. La Pace terrificante arriva nel momento in cui le due principali gang smettono di sparare e di farsi la guerra. Trovati gli equilibri nel controllo del territorio, definitivamente ammorbidita la polizia, scoraggiato ogni possibile concorrente, la Cidade de Deus diventa un posto apparentemente tranquillo. I revolver tacciono, perché il sistema è ormai accettato dalla maggioranza degli abitanti e chi non lo accetta se ne va. È una guerra fredda che si regge sul timore ed il rispetto reciproci, ma riduce e quasi azzera sparatorie e disordini. Per mantenere questo fittizio ordine sociale, ai ragazzini non è permesso di combinare guai nel quartiere: rapinare una rosticceria può costare loro la vita. Ma l’illegalità è più forte che mai, controlla tutto senza darlo troppo a vedere. I ragazzini presidiano strade e viottoli con le armi infilate nella cintura, fumano e sniffano, umiliano chi non mostra abbastanza rispetto e violentano le donne meno compiacenti. Eccola, la Pace terrificante. “City of god” è stato apprezzato ovunque, ma non dagli abitanti di Citade de Deus, che lo hanno giudicato oltraggioso. Come sempre, chi viene rappresentato non si riconosce nella rappresentazione. È normale, comprensibile, umano. Eppure, se andate a leggere le cronache recenti sulla realtà del posto capirete che quanto raccontato dal film non è molto diverso dalla quotidianità di questa favelas.
Ho l’impressione che questa Pace terrificante sia lo stesso stato di cose denunciato, di recente, da Roberto Saviano. Quella denuncia che ha fortemente irritato il sindaco De Magistris, benché non fosse lui il bersaglio. Ma il potere se n’è sentito toccato e ha reagito. Bande della camorra che controllano il territorio e sparano forse meno che in passato, proprio perché il loro potere non è in discussione. In verità, questa narrazione l’ho sentita anche da amici che conoscono quelle realtà: quando ricompaiono le pistole, significa che si sta cercando di reprimere qualche ribellione oppure che gli equilibri tra i boss sono saltati. La Pace terrificante vive nel silenzio.
Saviano non ha più il sostegno di una volta. Non è stato mai molto stimato da scrittori e giornalisti, che gli rimproverano di aver rimasticato storie già scritte da altri, ma la sua coraggiosa denuncia affidata a Gomorra lo aveva reso un simbolo della legalità. In molti videro in lui un possibile presidente della Regione Campania quando, qualche anno fa, la sua popolarità era all’apice. Luigi De Magistris è stato eletto nell’Italia dei Valori, il partito fondato da Antonio Di Pietro. Un partito che della lotta alla criminalità politica e comune aveva fatto la sua principale missione. Poi, però, la ruota gira e col cambiare delle maggioranze la denuncia diventa governo, anche con le sue forme in intolleranza al dissenso e alla critica. Perciò la delegittimazione si fa fronte compatto: Saviano è ovunque, specula sulle disgrazie e guadagna troppo, mentre il suo racconto della Cidade de Deus napoletana passa, di volta in volta, come l’invenzione di un mitomane che cerca di restare al centro dell’attenzione o la mossa promozionale di uno scrittore in crisi creativa. E la Pace terrificante ringrazia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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