Abbiamo bisogno di Picasso, delle sue curve inusuali, di quegli occhi strabici, di quelle rette dure e inverosimili, abbiamo bisogno del suo blu, del suo rosa, della sua dolcezza e disperazione. Abbiamo bisogno della sua Spagna e di Barcellona, della sua Francia e di Parigi. E’ un’esigenza innata osservare i quadri di Picasso e chiedersi cosa potessero significare, cosa ci voleva raccontare. Picasso è la svolta cubista, è il quadro più famoso “Les demoiselles d’Avignon: l’interno di un bordello barcellonese dove figurano cinque donne nude e scomposte. C’è tutta l’arte e la bellezza in quel dipinto, c’è tutta la voglia e l’incertezza di quanto l’arte sia sublime. Poi c’è lei, Guernica, lo sterminio della popolazione di quella città e la decisione di raccontare la tragedia, la cattiveria, la brutalità e la bassezza della guerra. E’ il manifesto più alto contro ogni violenza, l’assenza di vita, urla disperate e laceranti e, in alto, una luce fioca di speranza. Abbiamo bisogno di Piacasso, dei suoi colori e dei suoi grigi, abbiamo bisogno di abbracciare tutta la bellezza del suo Arlecchino, delle tre donne alla fontana, di Maya con la bambola. Picasso è morto l’8 aprile del 1973. L’ho inseguito per i musei del mondo e non mi è bastato. Picasso è il mio grillo parlante, il destino da dipingere, il maestro da ammirare. Abbiamo bisogno di Picasso e di quella piccola e intensa colomba a simboleggiare una pace vera, una pace dove tutti possano guardare Guernica e die a voce alta: coloriamolo. Quello dovrebbe essere il punto più alto tra noi e Picasso. Ed è ancora molto lontano.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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