In pochi minuti, nella sala d’attesa di un medico, si può capire molto del mondo e di come la contestazione verso il sistema sia cambiata rispetto a quando eravamo bambini. Di fronte a me, un signore col gesso al braccio spiega di non poter cedere il posto, ad un altro paziente che gliene aveva fatto richiesta, perché in ambulatorio ce lo aveva accompagnato un amico che non poteva far aspettare oltre. E perché ce lo aveva accompagnato un amico? Non perché impossibilitato a guidare causa gesso al braccio, ma per via dell’auto ritirata dai carabinieri. Parte all’istante la filippica contro lo Stato estorsore e i carabinieri ottusi esecutori. L’auto, a quanto racconta l’interessato, aveva subito un’arbitraria modifica strutturale alla scocca, per montare sportelli ad ala di gabbiano come quelli usati nelle più audaci fuoriserie. L’intervento non era sfuggito ai carabinieri, che sequestrarono il veicolo poiché la modifica non poteva essere omologata. “Perché?”, si chiedeva l’uomo nella sala d’aspetto del medico, “perché, con tutte le gravi ingiustizie di questo mondo, con Berlusconi che nel 2008 ha depenalizzato il falso in bilancio vengono a cercare gli sportelli della mia macchina?”. In Italia non funziona nulla, conclude, i presenti annuiscono con un cenno del capo. Dalla parte opposta della sala c’è un signore con la faccia abbronzata e impassibile, occhiali da sole scuri e timbro della voce da fumatore incallito. Interviene: “Fosse stato un immigrato, a modificare la sua auto come ha fatto lei, non gli avrebbero fatto nulla”. Gli immigrati, in quel dibattito sulla legittimità delle portiere ad ali di gabbiano, non c’entrerebbero granché. Ma si parla dei mali dell’Italia e gli immigrati vanno obbligatoriamente compresi nella elencazione dei suddetti mali, come la burocrazia ottusa o le leggi in favore dei delinquenti. “Lei lo sa che quattro virgola sei miliardi di euro di soldi dei contribuenti, cioè anche suoi, li spendiamo per accogliere questa gente che viene dall’Africa?” attacca il signore con gli occhiali scuri. Dice di essere un ex militare e di conoscere bene l’Africa. “Ora lei mi spieghi come fa un negro a permettersi di spendere migliaia di dollari per un viaggio, se un negro in Africa campa in media con un euro al giorno”. Pronuncia la parola “negro” soffermandocisi con studiata lentezza, arrotando bene la erre, sottolineandola con una particolare attenzione nella dizione. È come un manifesto politico. “Ma lei lo sa che quattro milioni e mezzo di italiani come lei soffrono la fame, mentre noi regaliamo accoglienza, hotel e ristoranti a questa gente? Certo, se guardate la Rai queste cose non le sentirete mai…”. Sciorina dati che sembrano estratti dai reportage di Libero o Il Giornale: “Quattro milioni e mezzo di italiani come lei soffrono la fame, sette milioni….sette milioni…sette milioni”…. “La sete?” suggerisce un signore anziano che ha ascoltato ben bene tutto il comizio. Qualcuno ridacchia, ma senza darlo troppo a vedere, perché la veemenza nell’argomentare del signore con gli occhiali scuri fa una certa impressione e si ha paura a contraddirlo. “Gli italiani non capiscono nulla – prosegue – e d’altronde mi dica lei: quando è stata l’ultima volta che abbiamo eletto un presidente del Consiglio?”. “Non lo abbiamo mai eletto, il presidente del Consiglio italiano non si elegge” provo a rispondere, a mezza voce. “L’ultimo eletto dal popolo è stato Berlusconi”, conclude, senza tenere in minimo conto la mia puntualizzazione. Arriva il medico, chiama il signore col gesso al braccio e consegna una carta all’assistito dagli occhiali scuri, che se ne va. Ma non prima dell’ultima osservazione: “Vedete i rom fuori dai supermercati, in Germania?”. La tribuna politica finisce.
C’è stato un tempo in cui la contestazione verso il sistema mirava a correggere le sue ingiustizie, a garantire dignità a tutti. Era una contestazione che spesso finiva per creare più ingiustizie di quelle cui voleva mettere riparo, che viaggiava sui toni violenti e crudeli di Lotta Continua e finì per rinnegare la sua coscienza democratica ripiegando sull’imperdonabile uso delle armi. Era una contestazione che si alimentava del mito di Che Guevara o dei tupamaros, eroi o invasati che fossero. Però quella contestazione, con tutte le sue degenerazioni da condannare, conteneva anche l’aspirazione ad un mondo migliore, un mondo dove a tutti fossero assicurate pari condizioni di civiltà, un mondo dove ogni ingiustizia non era meno ingiustizia se avveniva a diecimila chilometri di distanza. Oggi la contestazione è mutata in rabbia contro chi non ha nulla e si vorrebbe non abbia mai diritto a nulla. È una contestazione dettata da un benessere di cui abbiamo perso la dimensione.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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