Di seguito, brevi cenni sui fatti di cronaca nera più gravi avvenuti quest’estate. Alla fine, alcune considerazioni.
Da Repubblica, 4 agosto 2017 FERRARA – E’ stato trovato in fin di vita, accasciato al suolo con il segno di un colpo alla testa e la pistola in mano. Galeazzo Bartolucci, antiquario di 77 anni, si è ucciso in strada. Ma prima ha sparato alla moglie Mariella Mangolini, 73 anni, e al figlio Giovanni, 48enne. Tragedia a Ferrara. Dopo aver compiuto il folle gesto, originato probabilmente dallo sfratto imminente, l’uomo ha dato fuoco all’abitazione, in pieno centro, e poi è uscito dalla palazzina che affaccia su via del Turco e su piazzetta Bartolucci, alle spalle della chiesa di San Paolo: compiute poche centinaia di metri, si è sparato.
Da Repubblica, 16 agosto 2017 ROMA – “Sì, sono stato io a uccidere mia sorella. Mi trattava come un ragazzino, razionava i soldi. Guadagnava solo lei e ogni volta decideva lei quando e quanti darmene”. Maurizio Diotallevi, 62 anni, crolla dopo 10 ore di interrogatorio in Questura. E detta il movente di un delitto orrendo nelle sue modalità. Maurizio ha ucciso la sorella Nicoletta, 59, nell’appartamento che i genitori avevano lasciato loro in eredità, in via Guido Reni 22b, e che i fratelli Diotallevi dividevano. Maurizio ha strangolato Nicoletta, poi ha fatto a pezzi il suo corpo usando una sega. Gettando poi le diverse parti dei poveri resti di Nicoletta nei cassonetti
Da Repubblica, 28 luglio 2017 SAN TEODORO – Dimitri Fricano ha usato due coltelli per uccidere la sua fidanzata Erika Preti. Il primo, quello che stava utilizzando lei per preparare i panini: quel giorno, lo scorso 11 giugno, avevano in programma una gita in gommone e avevano bisogno del pranzo al sacco. Erano in vacanza insieme, in una villetta a San Teodoro, in Sardegna. “Abbiamo litigato per le briciole di pane sul tavolo – ha raccontato il commesso biellese dopo il suo arresto -. Lei continuava a rimproverarmi, mi ha anche colpito con un fermacarte in pietra. Alla fine io non mi sono riuscito a trattenere e l’ho accoltellata”.
Da Repubblica, 23 giugno 2017 CASALE – Massimiliano Ammenti, 51 anni, medico dell’ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato, aveva già provato una volta a uccidere il collega Andrea Juvara, 47 anni, trovato morto ieri nella sua casa di Rosignano. È un’ipotesi che i carabinieri di Casale Monferrato e del nucleo investigativo di Alessandria stanno cercando di verificare dopo l’arresto del medico di medicina d’urgenza fermato ieri sera a poche ore dal ritrovamento del cadavere. Tra i due professionisti c’era un rancore antico e radicato, risaliva al tempo in cui i due lavoravano nello stesso reparto delle emergenze. Un anno e mezzo fa Juvara era stato trasferito come medico anestesista nel reparto di rianimazione. Gli investigatori – coordinati dalla procura di Vercelli – stanno indagando sulle relazioni tra la vittima e l’arrestato. Ammenti, al momento del fermo, ha parlato di commenti sarcastici e battute del collega che lui malsopportava, ma il sospetto è che il rancore esagerato tra i due avesse radici più profonde.
Da Nextquotidiano, 10 luglio 2017 VAL DI SUSA – Nel pomeriggio di ieri sulla Statale 24, in Val di Susa, il guidatore di un van, Maurizio De Giulio,dopo una lite ha raggiunto e travolto due fidanzati su una moto. Nella caduta è morta una ragazza, Elisa Ferrero. Il suo compagno, Matteo Penna, è gravissimo. Maurizio De Giulio, 51 anni, viaggiava insieme con la compagna e la figlia. Secondo la ricostruzione dei militari, che si fonda su alcune testimonianze concordi, De Giulio avrebbe investito intenzionalmente la moto, lanciando il furgone a tutta velocità. «Qualche chilometro prima — ha riferito un automobilista che seguiva moto e furgone — i due mezzi si sono affiancati e fermati. C’è stata una lite, insulti e minacce. Il centauro ha dato una forte manata contro il finestrino del furgone e poi è ripartito».
Da Napoli Today, 30 agosto 2017 NAPOLI-Un pozzo degli orrori a Ponticelli, accanto al garage dove il 30 luglio fu trovato il corpo fatto a pezzi di Vincenzo Ruggiero, il 25enne assassinato ad Aversa. Per quell’omicidio è accusato Ciro Guarente, ex soldato della Marina Militare. Il 35enne è stato infatti arrestato per omicidio premeditato e occultamento di cadavere. In quel pozzo chiuso da una botola, si legge su Il Corriere del Mezzogiorno, i poliziotti hanno trovato uno stanzone usato dal killer per raccogliere i resti che il corpo fatto a pezzi perdeva nel corso delle ore successive al massacro. La testa di Vincenzo, però, resta introvabile. Nel lungo interrogatorio avvenuto il 16 agosto nel carcere di Poggioreale, Guarente non ha voluto indicare dove fosse quella parte del corpo. A rischia il carcere a vita come lui, anche il complice, un pregiudicato 51enne di Ponticelli che avrebbe prima venduto la pistola a Guarente e poi aiutato nell’occultare il cadavere del giovane
Da Repubblica, 31 maggio 2017 Questa volta l’amore criminale non c’entra. Stando alle prime indagini, non sarebbe stata la gelosia né una qualche forma malata nel rapporto sentimentale ad armare la mano di una 25enne di Ceprano, in provincia di Frosinone, portandola a uccidere il compagno di due anni più giovane. L’omicidio del 23enne Felice Lisi sarebbe il frutto esclusivo di una situazione di profondo degrado, di una coppia che viveva di espedienti e vittima della tossicodipendenza, di due giovani che lo Stato non è riuscito ad aiutare prima che accadesse il peggio. Il Comune ciociaro ci ha provato, ma non ha fatto in tempo. Il 23enne e la compagna, Pamela Celani, vivevano in un’abitazione ridotta a un rudere, tra i rifiuti, nelle campagne di Ceprano, centro con meno di novemila abitanti, a 20 chilometri di distanza da Frosinone. Una condizione che lo stesso sindaco della cittadina ciociara, Marco Galli, non esita a definire “indecente”. La coppia, vittima appunto della droga, andava avanti vivendo ai margini, tra un piccolo reato e l’altro. Arrestati per un furto, dopo che il giudice li aveva subito scarcerati, facendoli tornare nella catapecchia di lui, in via Guardaluna, il Comune si era mosso. Il sindaco Galli aveva fatto compiere un sopralluogo ai vigili urbani e fatto inoltrare una relazione ai carabinieri, cercando di ottenere dalla magistratura un provvedimento che mettesse i due in una comunità. Non c’è stato tempo. ~~~~~~~~~~~~~~~~ Mi fermo qui, in questa macabra selezione di morti ammazzati degli ultimi mesi, ma di fatti di cronaca nera collegati dalla stessa caratteristica ne potrei elencare tanti altri. Cosa accomuna questi delitti? La nazionalità degli autori o presunti tali, tutti italiani. I giornalisti, come è giusto che sia, indagano sulla vita di ciascuna di queste persone, riducono al dettaglio le loro biografie. Nel setaccio delle inchieste restano storie di gelosia, di rabbie incontrollabili prodotte da patimenti giovanili, di disagio economico, di tossicodipendenza per infanzie difficili, di alcolismo, di squilibrio psichico. Ogni fatto di sangue, indagato a dovere, ha radici lontane. Ognuna delle persone accusate di omicidio ha una sua storia. Unica, personale irripetibile, per quanto simile ad altre.
Ora prendete in esame i fatti di sangue che hanno per protagonisti gli immigrati, senza considerare la matrice terroristica. In questo caso, nelle cronache e nella ricerca di spiegazioni, l’identikit dell’assassino è sempre molto più approssimativo, superficiale. Difficilmente si indaga a fondo per scoprire la personalità dell’accusato. Perché? Secondo me, perché nel senso comune la condizione di immigrato è già di per sé una spiegazione sufficiente. Lo è per chi preferisce le maniere spicce e ha bisogno di una faccia su cui sputare, senza perdere tempo in spiegazioni e analisi. Essere immigrati sovrasta o cancella, in una parola, disagio sociale, alcolismo, gelosia, squilibrio mentale, ristrettezze economiche. È un immigrato, basta così, non c’è altro da aggiungere. Un immigrato delinque in quanto immigrato, non per la sua dissestata storia personale. In un mondo che predilige la semplificazione e ripudia la complessità, la condizione di “immigrato” accelera le spiegazioni ed evita lungaggini o di porsi troppe domande. Inutili, per chi ragiona in questo modo. Cosa c’è da pensare o approfondire, se è stato un immigrato? Nulla. L’immigrato, in quanto tale, è un capro espiatorio, il signor Malaussène di Pennac.
Mi sono sembrati la coerente chiusura di un cerchio, in questo periodo, gli interventi di alcuni personaggi dello spettacolo che strizzano l’occhio al razzismo di massa. Attori di seconda scelta, soubrette scosciate, cantanti dimenticati. Uomini e donne che hanno recitato sempre gli stessi ruoli, per tutta la vita, in mediocri commedie di lettura elementare, basate sul luogo comune, sul pregiudizio, sulla grassa risata da caserma. Film o serie costruite sul cliché dell’eterno conflitto tra nord e sud, nelle quali il milanese pensa solo al lavoro, il romano sonnecchia nel suo ufficio ministeriale, il napoletano truffa, il siciliano tace, il sardo è basso e non si lava e la donna, se è bella, in un modo o nell’altro vende il proprio corpo. Molte generazioni sono cresciute davanti allo schermo, bombardate da questa rappresentazione della realtà rozza, approssimata, ingiusta. Una diseducazione alla complessità che ha senz’altro relazione con l’analfabetismo funzionale che stiamo scontando oggi e produce, tra gli altri effetti, anche il nuovo razzismo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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