Ho letto un articolo della Prof.ssa Elisabetta Addis, Economista dell’Associazione SNOQ (se non ora quando). Si intitola: Gli uccisi di Parigi e quelli di Boko Haram non sono uguali.
L’autrice, docente universitaria di materie economiche, a Sassari e alla LUISS, sostiene –nello spazio di 35 righe- quello che il titolo afferma.
Sostiene che i 12 morti di Parigi siano un fatto più grave dei 2000 uccisi da Boko Haram in Nigeria negli stessi giorni. Spiega che tremila anni fa la civiltà occidentale era un inferno popolato di barbari e predoni. Però poi abbiamo migliorato, ci siamo inventati i diritti e, se in una delle nostre città qualcuno ammazza il nemico per strada, ci scandalizziamo (più per i diritti violati che per le vite terminate, evidentemente). In altri posti invece questo cambiamento è più lento, e dove non conoscono ancora il diritto non possono scandalizzarsi più di tanto e non possono pretendere che ci scandalizziamo noi.
Io credo di aver capito cosa l’articolo intendeva dire. Intendeva dire che se nel cuore di Parigi succede quello che è successo due settimane fa, siamo ancora in piena barbarie e quello che abbiamo costruito è ancora troppo fragile perché ci si possa rilassare, mentre il fatto che si muoia come mosche in Nigeria non vale come esperimento di controllo del grado di civiltà dell’umanità, perché lì sono abituati a morire come mosche e quindi non fanno testo. Come dire, quello non è vero imbarbarimento, il nostro, invece, altroché. Quello che deve preoccupare è quello che succede da noi, non quello che succede lontano. Il problema non è quello che succede ma dove succede.
E quando succede, è un gran casino. Perché scopriamo che siamo peggiori di quello che pensavamo. Dunque è questo non essere i migliori, ciò che dovrebbe affliggerci di più. Non essere talmente migliori da far apparire la nostra tranquillità e la nostra intoccabilità più importanti della vita di 2000 africani che nulla hanno da insegnarci in materia di diritti.
Tesi interessantissime, a mio avviso.
Come è interessantissima l’affinità di questo articolo con i manifesti xenofobi alla Le Pen o alla Salvini. Sembra proprio che la Addis parta dallo stesso presupposto che sta alla base della propaganda di Forza Nuova: la superiorità dell’occidente cristiano su qualsiasi altra forma di civiltà. Se il presupposto è quello, allora è logico che il nostro imbarbarimento sia da considerare più grave dell’inferno cronico in cui vive una troppo grande parte del genere umano.
Replico molto brevemente e umilmente, né dall’alto né dal basso, ma dalla quota media del mio sentirmi umano, che un presupposto delle conquiste civili che la Addis cita, è il rispetto di ogni singola vita, specie di fronte alla morte, e che uno dei passaggi fondamentali nella nascita delle democrazie basate sui diritti è stata un’epoca chiamata Umanesimo. Non siamo così speciali, a pensarci bene. Nella terra in cui abbiamo radici ci stanno Treblinka e l’Umanesimo, ma Treblinka è molto più vicino nel tempo. Siamo arrivati dove siamo arrivati perché è abbastanza condivisa l’idea che la vita di ogni persona sia da rispettare e basta. L’idea, non la sua costante messa in pratica. Quella è altra faccenda e ha a che fare col nostro essere ancora barbari, ancora predoni, con armi ed economie che ci consentono di esserlo in maniera più devastante di qualunque altra civiltà sterminatrice mai esistita. Ma sappiamo che la vita umana ha lo stesso valore, e lo sappiamo in quanto uomini, prima ancora che come occidentali e che questa cosa non ha valore utopico o in prospettiva, ma è vera adesso, e se così non fosse, non sarebbero vere neanche quelle altre cose bellissime che la Addis chiama diritti. E questo lo sapevano e lo sanno anche uomini che a questo occidente e a questa epoca non appartengono.
Chiudo pescando a caso da quel pentolone straordinario che è la cultura Greco-Ebraico-Cristiana di cui, anche, siamo figli, quel passo del Talmud che ricorda a ognuno di noi: Chi salva una vita sola, salva il mondo intero.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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