Un’intervista all’informatico parmense Alessandro Orlowski, apparsa sull’ultimo numero di Rolling Stone, spiega in modo convincente come funziona la propaganda leghista, alimentata perlopiù da fake news rilanciate scientificamente affinché abbiano la massima diffusione. Il trucco è assecondare i pregiudizi della gente, certe ataviche convinzioni mai messe in discussione da studio e sforzi di comprensione: si lancia una notizia, si studiano le reazioni della gente e se i numeri sono confortanti la si ripete e si martella incessantemente calcando su quei pregiudizi, affinché l’utente medio possa sentirsi rassicurato nelle sue certezze. Io credo, invece, che quella delle notizie false, forzate o gonfiate sia solo una parte del meccanismo attraverso cui l’oscuro Matteo Salvini è diventato il più popolare e decisivo politico italiano dei nostri tempi. Orlowski illustra un ruolo attivo, propositivo di questa propaganda, direi persino creativo. La manipolazione delle notizie presuppone un certo lavoro di immaginazione. Mentre io credo che nella propaganda della Lega di Salvini vi sia più una osservazione del livello medio di cultura in Italia, quello che è emerso in maniera prepotentemente visibile con la nascita dei social media. Una realtà culturale che, secondo un recente sondaggio, calcola in otto italiani su dieci quelli che non sanno distinguere una fake news. Une realtà culturale che vede una percentuale di laureati del 16 per cento, che fa dell’Italia il penultimo paese europeo nella classifica dell’istruzione. Avere una laurea non sempre significa qualcosa, ma certo dà l’idea dell’attitudine di una comunità allo studio. Attraverso i social media chiunque può dire la sua – come osservò Umberto Eco – e la popolarità di ciò che dice la si misura in condivisioni, che spesso nulla hanno a che vedere con la profondità delle argomentazioni o il curriculum di chi scrive.
Salvini, a conti fatti, ha saputo usare anche meglio dei Cinquestelle il potere ancora incalcolabile della rete, se per “meglio” si intende creazione del consenso finalizzato al raggiungimento del potere. Nei Cinquestelle si percepisce un disegno di cambiamento, una società proiettata verso un quanto si voglia discutibile futuro. Invece in quella di Salvini c’è un bisogno di staticità. E nei metodi attraverso cui questo desiderio si realizza non vi è nulla di particolarmente complicato, come vorrebbero far credere certi soloni della comunicazione La potremmo chiamare “Mistica del senso comune”. Il ruolo del creatore di consenso, inteso come lo intende Salvini, è prendere atto di questa realtà e assecondarla, senza nessuna pretesa di modificare la società e, anzi, respingendo come minaccia ogni carattere innovativo che la allontani da un suo stato di purezza che è, appunto, quello del senso comune. La chiave è dare ragione a chi ti sta di fronte, una volta calcolato – numeri alla mano – da quale parte convenga stare. Dargli ragione e mai provocarlo con argomenti che possano mettere in discussione le certezze del senso comune. Cerco di spiegarmi meglio. In una qualunque riunione di una famiglia media italiana, in una qualunque sala d’attesa di un medico, troverete una o più persone che vi diranno che:
1. I senegalesi cucinano cibi puzzolenti nel centro storico; 2. I marocchini lavorano in nero e rovinano il mercato con tariffe da fame; 3. Gli zingari rubano; 4. Ci vogliono invadere e privare della nostra cultura; 5. ll cibo italiano è il migliore dell’universo, mentre quel che cucinano altrove fa schifo; 6. Gli scappellotti e i calci in culo sono l’unico efficace rimedio alla maleducazione dei ragazzi, alludendo al figlio o nipote che non vuol mangiare o si è alzato dal tavolo senza scusarsi; 7. Servirebbe a questa nuova generazione una bella passata di servizio militare per toglierle certi vizi; 8. I politici del passato sono tutti ladri, uno peggiore dell’altro; 9. I finocchi è meglio che mi stiano lontani e in una famiglia vera ci sono un babbo e una mamma; 10. Quante soddisfazioni dà il gatto o il cane di casa, altroché certi umani; 11. È tutta una mafia, intesa come un indistinto mescolarsi di politica e malaffare che colpisce perché danneggia il cittadino comune; 12. Quanto sia stata esaltante la vittoria di quel tale sportivo italiano in quella certa competizione, il che dimostrerà che noi italiani quando ci mettiamo in testa una cosa non ce n’è per nessuno; 13. Ci vorrebbe una bella passata di fascismo, perché nessun contraddittorio è ammesso.
Non sono argomenti che ha inventato Salvini, sono argomenti connaturati con la rappresentazione della realtà di una certa Italia. In realtà non sono neppure argomenti o esiti di meditazione, sono risposte immediate e istintive a bisogni veri o semplici impressioni. Sono la carta d’identità di un Paese che resta tradizionalista, conservatore e fortemente xenofobo. Ma la rete questi connotati li ha rafforzati, proprio perché la mistica del senso comune si alimenta trovando conferma alle proprie convinzioni e ogni post, quando intercetta quel medesimo senso comune, si gonfia coma un slavina che rotola a valle. Ora guardatevi i post di Salvini, analizzateli uno ad uno da qualche mese a questa parte. Rappresentano la difesa del mondo che ho racchiuso in quei tredici punti e sono quanto di più gratificante possa leggere quel genere d’italiano che ha sempre fatto in un certo modo, è sempre stato convinto a vedere le cose in un certo modo e non ha intenzione di rinunciare alla convinzione di essere il centro del mondo e di far valere in ogni modo possibile la propria centralità. Immigrati, cibo italiano buono, cibo estero cattivo specie se è importato da Paesi più poveri del nostro e culturalmente distanti, schiaffi promessi ai ragazzi che lo contestano, servizio militare, sport, animali domestici fidati e che ti fanno compagnia senza chiedere nulla, difesa della famiglia tradizionale, sfrontata derisione di ogni forma di contestazione nei suoi confronti. Al posto del fascismo c’è la mitica “Ruspa”, intesa come braccio forte che cancella tutto con un colpo di benna. È il rimedio semplice, muscolare, pratico. Una legge del taglione, una giustizia sommaria ma necessaria. Questi elementari argomenti nella comunicazione di Salvini si ripetono sempre, influenzati certo dalla cronaca del giorno ma molto più spesso riproposti con una cadenza pianificata, martellante, dosata in proporzioni matematiche. E quindi può capitare che, nel giorno della tragedia di Genova, la macchina di inceppi e lui infili un post in cui esulta contro il respingimento dei migranti della nave Aquarius. Poco male, il suo elettorato lo troverà comunque un modo per consolarsi. Eccezioni? Sì, ma calibrate. Se andate a ritroso nella sua pagina, troverete un post “buonista” del ministro ispirato dal gesto di un carabiniere che, nei giorni scorsi, pare abbia comprato un paio di sandali ad un ladro che aveva appena arrestato. Salvini esprime ammirazione per il carabiniere. Capite da voi che il ladro era un italiano, pare un senzatetto veneto.
In generale, sulla sua pagina Facebook Salvini non elabora concetti articolati o propone spunti su iniziative politiche, si limita a rilanciare notizie di varie testate che puntano il dito contro ciascuno dei nemici che vorrebbe attentare alla mistica del senso comune. I post restano anche se la fake news è conclamata, come nel caso degli immigrati che avrebbero preteso l’abbonamento a Sky in un centro accoglienza del Veneto.
Naturalmente il segretario della Lega non può fermarsi dentro il recinto delle competenze. Vivendo di comunicazione centrata su questa ampia mistica del senso comune deve esulare dai confini del suo ministero, altrimenti finirebbe soffocato. Ecco perché tratta senza scrupoli istituzionali argomenti che col Viminale non hanno alcuna attinenza. Come dicevo prima, la chiave è dare ragione a questa parte degli italiani, rassicurandoli persino sulla legittimità di certe reazioni violente o bestiali. C’è da difendere il senso comune. Se qualcuno biasima queste reazioni, lui risponderà che è pazzesco che al terrorista islamico o all’immigrato stupratore sia permessa questa violenza e a chi vi si oppone no, come se Stato e cittadini si potessero mettere sullo stesso piano del delinquente comune. Molti anni fa, nella zona in cui abito, due ladruncoli di paese vennero scoperti dal proprietario della casa che avevano svaligiato. Il signore derubato li andò a cercare, li caricò in auto con una scusa e poi, dopo averli malmenati, li buttò nel recinto in cui teneva i cavalli. Ricordo che gran parte della comunità si schierò dalla sua parte e venne attivata una raccolta di fondi per garantirgli il pagamento delle spese legali. Salvini allora non c’era e, in quel tempo, nessun politico di una certa visibilità si sarebbe sognato di prendere le parti di chi si era fatto giustizia con le proprie mani. Oggi quel signore finirebbe certo in un post del ministro dell’Interno, che gli attesterebbe solidarietà e garantirebbe sostegno. Perché quel senso comune comprende anche il diritto di farsi giustizia da sé. È una logica primitiva, ma difficile da smontare e che nell’era dei social trova sempre maggiori consensi, sostenuta da fake news e la falsa convinzione che le cose vadano sempre peggio. Basterebbero le statistiche sui reati comuni degli ultimi vent’anni, in netto calo, per smontarla, ma l’analisi dei numeri presuppone tempo e ragionamento. Superflui, nella politica del consenso costruita sul tweet e su due righe di post Facebook a commento di una notizia. A dire il vero, questa semplificazione dei social è stata preceduta da anni di asfissianti campagne di stampa sulla sicurezza, un pilastro della destra berlusconiana: studi di importanti università dimostrano che il problema della criminalità è percepito in misura proporzionale allo spazio che i mezzi di comunicazione gli dedicano, il che spesso non ha nulla a che vedere col pericolo reale. Salvini ne sta sfruttando, oggi, i risultati. L’elettore di Salvini vede in Salvini uno specchio, la propria immagine riflessa. Non si aspetta che sia migliore di lui o che crei una società migliore, più equa e in cui regni la convivenza pacifica. No, vuole una società che cancelli quelle diversità che non riesce a comprendere, riconosca solo ciò che le assomiglia e si uniformi a quella mistica del senso comune. Per questo dev’essere chiusa, con confini alti, aperta solo a chi sposa questo senso comune. L’immedesimazione dei sostenitori nella sua figura Salvini la comprende e la facilita, chiudendo spesso i suoi post con formule interlocutorie del genere “Dico bene?”, “Sbaglio?”. A volte, quando qualcuno lo contesta, Salvini chiede ai suoi elettori consiglio sulla opportunità di querelare o meno l’avversario. Vi sto parlando faccia a faccia, sto chiedendo conferma a voi di ciò che faccio, anche se so bene che voi non potrete che essere d’accordo. Salvini non chiede sforzi di comprensione al suo sostenitore, non gli chiede di tendere la mano al diverso o di vedere le cose sotto un’altra prospettiva. No, la sua forza sta nella difesa di quel consolidato senso comune.
Questa strategia piace all’operaio convinto che con i rimedi forti di Salvini non perderà il posto a favore di un immigrato sottopagato, ma piace anche al proprietario della villa da dieci milioni di euro in Costa Smeralda che in questa difesa del senso comune e dei modi spicci legge certezze, sicurezza, salvaguardia di quello stato di cose che gli ha permesso di comprarsi la villa da dieci milioni di euro in Costa Smeralda. (Quest’ultimo non è un esempio fatto tanto per farlo: ho davvero conosciuto un indstriale brianzolo con villa in Costa Smeralda, convinto che una volta risolto il problema dei negri che sbarcano, per salvare l’Italia il più sia fatto).
C’è chi sostiene che di Salvini non bisognerebbe parlare, perché più se ne parla e più lo si rafforza: credo la pensassero allo stesso modo quelli che si ritirarono sull’Aventino. E poi sappiamo com’è finita.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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