pubblicato 15/2/2016
Arriva il mio turno per la raccomandata e la signora mi chiede -Qul tio ata ole? -Prego? Lei tira su col naso, si volta e scatarra un pochino sull’ennesimo fazzolettino che stipa su un mucchio mezzo emerso dalla tasca, poi ripete con la gola appena più libera -Mi scusi. Le chiedevo che tipo di raccomandata vuole. Glielo dico e la osservo mentre lavora. Pallida, gli occhi gonfi, sofferente. Non la conosco ma mi viene da farle una domanda di quelle che qualche volta ti fanno mandare affanculo. -Signora, sta molto male? -Si vede? -Un pochino sì. Febbre? -Neppure a 38. Ma mi sento da cani. -E perché non è rimasta a casa? -Boh, abitudine. Quando stavo così mamma mi mandava ugualmente a scuola. E la sua? -Boh – dico anch’io -, sono troppo vecchio per ricordarmi se mi mandava a scuola con il raffreddore. -Non molto più vecchio di me. -Penso si sbagli, signora. Alla fine ci scambiamo le date di nascita e in effetti non è che abbia molti anni meno di me. E le dico -Complimenti, nonostante il raffreddore non ci avrei mai creduto. Pago la raccomandata, saluto e lei mi fa -Buongiorno e grazie, oggi mi ha risolto una giornata iniziata male. Rido. -Perché le ho detto che non dimostra la sua età? Le basta poco. -No, perché noi non ci conosciamo eppure lei mi ha chiesto se mi sentivo male. Voleva dire che la faccenda dell’età era banale galanteria, chiederle se stesse male era solidarietà. Cosa di cui quella signora aveva evidentemente bisogno. Quella signora che fa un lavoro pesante e il cui mestiere è stato per anni emblema dell’ottusa burocrazia nemica della gente (“Sei ostile come un impiegato delle poste”); quella signora che chissà quanto è stata odiata per colpa dei suoi colleghi di altri tempi che ti davano del voi. Non ricordate? Dicevano “voi” anche se eravate solo. “Se voi vi presentate con il documento scaduto…”, “Se voi non compilate bene la distinta…”. E quel voi voleva dire noi pubblico indistinto, noi gente priva di individualità che stavamo in quel mondo grigio dall’altra parte dello sportello. E ogni volta che me lo dicevano mi sentivo gregge. Ora non è più così, non saranno proprio le poste che vorrei, ma dietro il bancone, almeno, trovo donne e uomini come me. Ora però è la parte mia, quella dell’utente, a essere piena di spietati cafoni che scambiano la cortesia per arrendevolezza e sfogano con una donna che lavora la frustrazione di un fila troppo lunga. E mi ricorda, questa storia postale, quella notte di tanti anni fa in cui corsi alla farmacia notturna per un febbrone della mia figlioletta. Ero saltato giù dal letto e in fretta e furia avevo indossato sopra il pigiama una tuta da ginnastica, avevo la faccia gonfia di sonno e la barba lunga. Insomma, mi presentavo maluccio. Trovai una discreta fila di giovani piuttosto malmessi come me e uno dietro l’altro chiedevano alla farmacista -Una spada. -Una spada. -Una spada. Voleva dire una siringa, erano tutti tossicodipendenti. E la dottoressa li serviva con gesto meccanico e con una faccia stanca e triste, senza aprire bocca. Quando arrivò il mio turno, mi scrutò critica già allungando la mano verso la scatola delle ipodermiche. -Zimox pediatrico da 500, per favore. Bloccò la mano a mezz’aria. -Per chi? -La mia bambina di cinque anni. Ha più di 39 di febbre. -Oh poverina! E, senta, il pediatra le ha detto… E continuò a lungo a chiedermi e darmi informazioni con la gioia di fare il suo mestiere mentre la folla tossicheggiante rumoreggiava scontenta dietro di me. E anche quella notte, quando pagai, lei mi disse un grazie che spiegava molto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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