E oggi 10 dicembre, anniversario del premio Nobel a Grazia Deledda, penso a questa edizione critica di “Cosima”, pubblicata dalla Edes di Sassari. E penso quindi a un ritorno all’infanzia. Ciascuno di opere e autori ha raffigurazioni personali, angoli che rappresentano momenti della propria esistenza che qualche volta non hanno a che fare con grandezze o significati oggettivi. Grazia Deledda a me diede un imprinting quando avevo meno di dieci anni e mi tuffai in un “Dono di Natale” che era una raccolta di racconti ufficialmente “per bambini” che prendeva il titolo dal primo di essi. E il ricordo collegato, naturalmente, è quello di un Natale felice, che è la cosa più banale del mondo ma forse anche una delle più belle. Miracolosamente, ho ritrovato il libro qualche anno fa e l’ho unito alla mia non indifferente raccolta di vecchi e qualche volta antichi libri illustrati per l’infanzia. Riservandogli un posto di riguardo, non perché sia un’edizione particolarmente pregiata ma perché non è un fortunoso recupero da bancarelle, librerie antiquarie o siti internet, bensì un ripescaggio fisico nel mio passato, un viaggio all’indietro dove la macchina del tempo è stata un anfratto inesplorato dei luoghi di famiglia. E quindi è finito nella parte pregiata della collezione, quella più ristretta e riposta che contiene non libri per una generica infanzia ma proprio quelli della “mia” infanzia. E’ un’edizione Mondadori del 1956, che nelle mie mani evidentemente deve essere capitata un po’ dopo l’anno di pubblicazione, perché in quell’anno ancora non sapevo leggere. Allora i libri duravano a lungo, anche nei negozi il ricambio non era vorticoso come adesso e un libro del ’56, a esempio, nel ’59, quando avevo otto anni, poteva essere venduto come nuovo. Solo da grande, riaprendo “Il dono di Natale” ho apprezzato che quelle illustrazioni che mi facevano sognare erano del grande Vittorio Accornero, che fu per molti anni compagno di vita e di arte di Edina Altara. Quelli che ne sanno dicono che i capolavori per l’infanzia, che sia Pinocchio o le favole di Grazia Deledda, hanno due livelli di lettura: quello incisivo, educativo, piacevole rivolto ai bambini e quello più profondo e spinoso rivolto agli adulti. Sono convinto che si tratti di una coglionata marziana. Quando si scrive per i bambini si entra in uno stato di grazia per il quale, quasi preso da un’ispirazione alienante, uno scrittore si rivolge a ogni bambino, anche a quelli analfabeti, anche ai bambini adulti, anche ai bambini di cent’anni che sono già andati a scegliersi l’alloggio in camposanto per mettersi avanti con il lavoro. Non mi è mai capitato di rileggere Pinocchio (e l’avrò fatto un milione di volte) trovandoci cose diverse da quelle che ci trovavo da bambino. E non perché sia tonto, non in questo caso almeno, ma perché ogni bambino quando legge Pinocchio è in grado dal primo momento di trovarci tutto quello che Collodi ci ha messo. Altrimenti non sarebbe un archetipo letterario. E così questa raccolta di racconti di Grazia Deledda che nella mia edizione originale, con un vago e affascinante odore di muffa cartacea contratto probabilmente in qualche incidente durante il periodo dal distacco al ritrovamento, mi sta accompagnando verso il Natale. Ci ritrovo la resa letteraria del rigore antropologico di Grazia Deledda, i suoi intrecci tra fantastico e narrazione, il meraviglioso unito alla storia, il recupero del valore narrativo della leggenda, l’infanzia intesa come mondo magico e dolcemente misterioso e il culto dell’attesa come emerge nel racconto che dà il titolo a questa raccolta. Tutte cose che ora riscopro e vi racconto con questi paroloni, ma che da bambino avevo scoperto nello stesso modo e assorbito con parole semplici e con significati identici. E così, quando sono cresciuto, dopo questo formativo “Dono di Natale”, ho continuato a intendere ogni altra opera di Grazia Deledda. Da “Elias Portolu” sino a quella tristissima resa al fato che è “Canne al vento”, io vedo sempre la dolce, magica e misteriosa narratrice del “Dono di Natale”. Ora leggerò questa edizione critica di “Cosima” e sarà una buona occasione per rileggere la potente opera postuma di carattere autobiografico. E’ promettente questa riscoperta della Edes perché racconta la vera storia e i veri turbamenti della scrittrice e soprattutto la formazione nel rapporto con il mondo. Uno specchio dove ha fissato la sua immagine esistenziale che forse aiuterà a capire una natura letteraria via via sottratta ai generi nei quali era stata arbitrariamente collocata, dal verismo al decadentismo sino al regionalismo, per riconoscerle una ormai evidente originalità. Mi ha colpito nell’introduzione del curatore Dino Manca la storia delle censure al testo operate dal figlio Sardus e da altri che cambiarono “l’identità primitiva” del romanzo con interventi arbitrari e addirittura repressivi nei confronti di una crudezza formale e di contenuti che evidentemente la dolce e dura scrittrice questa volta aveva deciso di adottare. Il suo romanzo testamento, quello in cui, come sempre quando si muore, si chiude il ciclo e si torna all’infanzia.
In alto, un’illustrazione di Vittorio Accornero tratta dal “Dono di Natale” di Grazia Deledda, Mondadori 1956
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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