Vorrei ritornarci sulla storia del crocifisso e delle varie polemiche relative al Natale. Un po’ per sottolineare la nostra totale sufficienza sulle cose divine, un po’ per riprendere alcuni concetti che, detti da alcune persone, possono essere beatamente fraintesi.
Il Natale è una tradizione occidentale. Come altre tradizioni laiche: il 25 aprile e primo maggio su tutte. E tutte devono essere rispettate. Non capisco quindi la bava alla bocca che fuoriesce da gente che, per esempio, invoca il crocifisso nelle scuole o canta “tu scendi dalle stelle”, ma è assolutamente refrattaria ad intonare “Bella ciao”. Direte: non è la stessa cosa. Certo, sono due cose diverse, ci mancherebbe. Il Natale è una festa cristiana (non esclusivamente cattolica, però) e l’altra è una ricorrenza laica. Li unisce, io credo, la memoria. Noi festeggiamo le ricorrenze perché servono a ricordare. Anche i simboli servono a rammentare un fatto, un gesto, una storia. La croce rappresenta il momento più alto e terribile di un uomo considerato da molti figlio di Dio: un estremo sacrificio per salvare l’umanità. Il Natale invece è il racconto mistico di una storia millenaria e ci dice alcune semplici cose: arriva un Salvatore dell’umanità, salvatore che, a dire il vero, non sarà molto ascoltato nei suoi trentatré anni di vita terrena e nei successivi duemila, che chiede semplicemente amore e porgere l’altra guancia. Proviamo, per un attimo, a rivedere le facce e risentire le parole di chi ha detto a gran voce “Il natale non si tocca”: sono uomini e donne che non hanno nessuna intenzione di porgere l’altra guancia e di predicare l’amore universale. A questa gente non serve il Natale, non serve quel bambino che scende in una grotta al freddo e al gelo. Non serve perché gli interessi sono altri e sono legati, esclusivamente, alla visibilità politica. Sono degni compari di quei venditori del tempio che il buon Gesù intendeva cacciare a calci dalla sinagoga. Quella croce che tutti blandiscono e nessuno intende eliminare dalle scuole statali, rappresenta la vita e le opere di quel Cristo in realtà poco conosciuto e, soprattutto, poco seguito nei vari esempi evangelici. Quella croce dovrebbe ricordare ai credenti la profondità del perdono verso i propri assassini (perdona loro che non sanno quello che fanno) verso le prostitute (chi è senza peccato scagli la prima pietra) l’amore per i piccoli (lasciate che i bimbi vengano a me) ma dovrebbe rammentare anche il discorso più bello e alto che Cristo abbia mai pronunciato: il famoso discorso della Montagna. Ecco, quelli che vogliono fortemente il simbolo della croce nelle aule scolastiche dei nostri figli sappiano che quel signore beatificava i poveri, gli afflitti, i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia. Quell’uomo finito sulla croce ha detto di non essere venuto da queste parti per abolire ma per dare compimento. Gli urlatori, i politicanti, i benpensanti che se la prendono con chi non la pensa come loro, con chi professa un’altra religione, con chi sbarca da un barcone in cerca di ospitalità, possono tranquillamente farlo ma lascino la croce nei luoghi di culto dove è ben conservata e rispettata. Luoghi che, beninteso, essi non frequentano o, se lo fanno, sicuramente non ascoltano le parole di quel Signore finito sulla croce. Un piccolo consiglio: rileggetevi tutto il discorso della montagna nel Vangelo secondo Matteo (Matteo, 5: 1-48) poi provate a cantare “Bella ciao” e capirete che le croci sono tante e tutte molto importanti. Ma soprattutto ricordatevi che in un paese laico all’interno di un edificio pubblico deve essere esposta la foto del Presidente della Repubblica e la bandiera dello Stato. Quando pensate al Natale ricordatevi che quel bambino nella mangiatoia un giorno ha detto: “Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”. Quando costruite il presepe pensateci, fischiettando “tu scendi dalle stelle”. La memoria e la ricorrenza serve alla contemplazione, altrimenti rischiamo di dare ragione a chi dice che il Natale, in fondo, è solo una festa squisitamente consumistica. Impariamo a dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, ma per farlo dobbiamo obbligatoriamente saper dividere i piani. E non è cosa facile insultando e sbavando. L’uomo sulla croce suggerisce di essere miti e portatori di pace. Pensiamoci.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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