E dunque decidete di togliervi solo la maglia e le scarpe. Giunti a Olbia la situazione è lievissimamente meno grave. Sono già le 16.30 e alcune ombre iniziano ad allungarsi da sotto le cose. E poi, ogni tanto, si vede un lembo di mare, quell’azzurro sconfinato e profondo, fresco e bagnato, ancorché salato e non potabile, che vi ricorda che un’altra temperatura è possibile. Anche le curve dopo Olbia fanno la loro porca figura, mentre vi arrampicate tra Cugnana e Li Paladini, tra tutti quegli alberi, e sentite che dall’inferno a volte si esce, e che spesso è solo una questione di tempo.
Se a Sassari vi foste diretti, in quel 20 luglio del 1990 (ma era il 20 luglio?) verso Cagliari o se anche, giunti a Macomer, aveste deciso di girare verso Nuoro, le cose non vi sarebbero andate meglio. Si, la Sardegna, il 20 di Luglio del 1990 ma anche in tutti gli altri giorni di tutte le estati di tutti i millenni somiglianti al 20-07-1990, se ne valutate le campagne tra le 13.30 e le 16.30, è come l’inferno. Poi diventa purgatorio. In un ciclo di eternità, ognuna delle quali dura 24 ore, all’interno di ognuna delle quali è previsto esistano molti assaggi di paradiso.
Qua e là, il 20 luglio e dintorni, l’odore improvviso del leccio bruciato o quello della scopa vi possono ricordare che anche all’inferno le cose possono peggiorare, e chiamarsi incendio. E così, mentre il motore non lo sentite neanche più e la pelle sa dirvi solo che avete caldo, e vi scolate l’ultimo goccio di acqua a 37 gradi rimasta nella bottiglia che da settimane rotola sotto il sedile che poteva essere di Antonia, se solo lei avesse voluto (Antonia, perché no?) realizzate improvvisamente che voi, da sempre, conoscete il nome e sapete esserci uno sconosciuto volto, che stanno dietro tutta quella luce rovente che vi circonda e polverizza gli alberi in 5 minuti: la Mamma del sole. Eravate bambini quando vostra nonna o vostra zia –sorella di Mamma, più grande e mai sposata- vi avvertivano per il vostro bene che dopo pranzo, mentre tutto intorno impazza l’inferno, non è saggio uscire, perché passa la Mamma del sole e vi porta via. E voi vi cacavate sotto e ci credevate, e aspettavate all’ombra di qualche camera che arrivasse l’ora in cui sarebbe stato ancora possibile uscire senza pericolo, che la Mamma del sole era andata via. Quel 20-07 del 1990 (ma era il ’90?) la Mamma del sole si era mossa con me (foste stati in macchina al posto di Antonia ve ne sareste accorti) e aveva attraversato la Sardegna settentrionale da ovest ad est, da Sassari a Ozieri a Olbia a La Maddalena, facendo sosta a Mores da dove dopo mezz’ora era ripartita e si era bevuta la mia birra (era di Antonia, ma me l’aveva offerta) asciugandola via dalla mia pelle mentre guidavo, senza scarpe e senza maglia, e con i finestrini mezzi aperti e mezzi chiusi. Poi, archiviate le 16.30, all’altezza di Cugnana, aveva chiuso l’inferno e lo aveva portato con sé, dentro qualche grotta, forse, o in giro per il cielo, sopra il mare, a minacciarlo di aprirglielo sopra e di prosciugarlo, lasciando il suo fondo coperto da metri di sale. E il giorno dopo, mentre molti si mettevano a tavola o facevano il bagno nell’acqua salata e blu che cinge la Sardegna come un premio o una condanna, aveva ripreso a girare per i paesi, per i viali deserti delle città, per le tanche e le scogliere, a ricordare a tutti noi che in qualche modo l’inferno è necessario. Ma anche che desiderare un’altra temperatura è sempre possibile.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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