Peppino è cinema, Peppino è spalla, Peppino è l’abbrivio di Totò, Peppino è Pappagone. De Filippo vuol dire Eduardo e basta, al massimo anche Titina, che con il suo stare tra le quinte e uscirne soltanto per recitare ci ammalia con la sua maschera angolosa e misteriosa. Che tristezza in questi giorni dei quarant’anni dalla morte di Peppino De Filippo. Lo celebrano come il De Filippo minore, parlano soprattutto dei suoi film. E del suo teatro soltanto come di un divertimento con molti confini e senza troppi fini . Mi sento desolato come quando, molti anni fa, vidi alla Pergola di Firenze un’altra vittima di Eduardo. Era suo figlio Luca che faceva il protagonista in “Ditegli sempre di sì”. C’era un pubblico tiepido, pure se lui era bravissimo nel suo tentare maturo di sfuggire alle briglie del padre. Era un grande attore, si vedeva. Ma soltanto a un certo punto il pubblico si sciolse in un applauso. Mi chiesi perché: era un momento morto della commedia, uno di quegli inizi d’atto in cui più che altro nel testo si fa un rapido riassunto delle vicende precedenti per consentire al pubblico di capire che cosa accadrà. Ma il pubblico applaudiva e molti si voltavano a guardare un palchetto anziché il palcoscenico. Mi voltai anch’io e capii: applaudivano il padre e non il figlio. Eduardo che aveva fatto una rapida comparsa tra il pubblico, aveva ricevuto il suo trionfo e aveva di nuovo lasciato Luca solo, sotto il peso di un’eredità imposta e in fondo mai concessa.Peppino quell’eredità non l’ha voluta e anzi l’ha rifiutata clamorosamente nello storico litigio del ’44 sul palcoscenico napoletano del teatro Diana. Da allora ha vissuto sotto la cappa terribile di una genialità rivale più “intellettuale”, più “politica”, più conforme della sua alle correnti culturali dominanti: e quei pochi intellettuali che si sono accorti che anche lui era un genio, spesso lo hanno tenuto nascosto per non farsi dare dei qualunquisti. E’ vero, si rivalutava Totò, ma dire che anche Peppino era come Eduardo uno dei grandi riformatori del teatro italiano era un po’ troppo. Ma chi, quel tipo che fa il buffone in tv?E la maledizione di Pappagone dura ai giorni nostri, in questo quarantennale dove sui giornali si parla della lettera scritta con Totò in “Totò, Peppino e la malafemmina” di Camillo Mastrocinque e non, per dirne una, dello strepitoso atto unico “Miseria bella”, dove il naturalismo grottesco di Peppino, nei suoi accenti sociali e introspettivi, non ha nulla da invidiare e forse molto da insegnare a opere di altri più celebrati commediografi.Peppino, in qualche amara intervista, ha spiegato i motivi della sua “secondità” nella gerarchia familiare dei tre illegittimi di Eduardo Scarpetta. Più che altro gelosia, in parole povere. In vecchiaia, condizione esistenziale in cui l’afflizione prende sempre più i contorni del rancore, ha persino destrutturato la paternità del mitico “Natale in casa Cupiello”, rivelando che la commedia simbolo del nuovo corso del teatro di Eduardo (e di conseguenza di gran parte di quello italiano) era nata nelle forme che conosciamo dalle ripetute prove sul palcoscenico nelle quali il contributo di Peppino era pesante quanto quello dell’autore. E che, addirittura, la nota battuta “nun me piace o presepe” fu inventata proprio da Peppino nel corso di queste prove dove l‘estemporaneità raggiungeva il livello di forma drammatica e letteraria.Ma non sono certamente queste meschine rivendicazioni autoriali che fanno di Peppino De Filippo uno dei più grandi protagonisti del teatro moderno. Peppino è l’erede legittimo dell’universalità del teatro napoletano, il più facile da portare in tutto il mondo per la naturale condivisione del suo linguaggio. Il teatro napoletano è nato prima della Torre di Babele, prima che Geova per punire gli uomini della loro superbia li confondesse dividendoli in mille lingue l’una incomprensibile alle altre.Peppino è Pulcinella, lo spirito incarnato di questo teatro antico che come quello greco è il fondamento di religioni, letterature e abissi dell’anima, quelli esplorati dalla psicologia e molto spesso dalla psichiatria, scienza quest’ultima con la quale, oggettivamente, Peppino ci insegna a convivere senza troppi complessi. Peppino è la maschera gloriosa di questi caratteri, è quello che ha dimostrato che il teatro, non si sa mai, potrebbe fare a meno degli autori ma non dei commedianti, quelli che hanno nel sangue lo spirito vero della commedia dell’arte. Peppino è un Pulcinella senza maschera, perché nel suo superamento delle tradizioni ha deciso che Pulcinella non ha niente da nascondere ma tutto da mostrare.In un appello pubblicato nel 1950, quando ancora la sua emancipazione era giovane, il suo successo popolare già grande e la diffidenza della critica ufficiale già pervicace, scrisse: “Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi, assaggiatelo con fiducia come si assaggia un pezzo di pane caldo allora uscito dal forno, respiratelo profondamente come si respira una boccata di aria pura. Solo così potrete divertirvi e interessarvi dei fatti di casa vostra, mangiando un ottimo pane e… respirando, respirando, respirando”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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