Una sera d’agosto sono andato a cena con un amico che vive in Sardegna da una vita ma non è sardo. Mentre si chiacchierava della qualità del ristorante che avevamo scelto, mi ha spiegato che da qualche tempo aveva abbandonato un altro ristorante della Costa di cui in passato era stato fedele cliente. L’ultima volta che ci era andato, era stato per offrire una cena ad un gruppo di amici che non vedeva da tempo. Il mio amico ha un’età che consiglia misura anche nell’alimentazione. Perciò aveva ordinato un pesce bollito, chiedendo un’aggiunta di maionese per alleviare la tristezza di quel piatto da degenza ospedaliera. Gliene portarono una cucchiaiata, in una ciotola. Il mio amico è uno che non ha problemi a pagare un conto salato, è uno di quelli che porge la carta di credito al cameriere senza manco guardare la ricevuta. Solo che, quella sera, la ricevuta arrivò sul tavolo aperta e non piegata in due, come eleganza e buon gusto richiederebbero. E gli cadde l’occhio su una voce del conto, dispersa tra linguine all’aragosta e grigliata di crostacei. L’importo di quella voce era di quattro euro. Quattro euro per la maionese con cui aveva impiastricciato il suo pesce lesso, pochi grammi di salsa giallastra per ravvivare la sua parca cena. Il mio amico non fece storie, pagò il conto e, pensando a tutte le migliaia di euro che aveva lasciato in quel ristorante nei decenni, si sentì leggermente preso per fesso. Decise che non ci avrebbe messo più piede e a quella consegna è rimasto fedele.
L’estate è finita da un pezzo. Mi è sembrato, quest’anno, di vedere poche occasioni di indignazione innescate da scontrini con conti astronomici emessi da discoteche o ristoranti di qualche location turistica. Qualcuno ci ha provato, ma l’osservazione “se a Porto Cervo ti sembra caro, vai altrove” ha finito con lo smontare un po’ le campagne di sobrietà.
Ricordo che l’anno scorso il dibattito sui conti “immorali” si incrociò spesso con i contenuti di un’inchiesta, pubblicata da una rivista online, sulle trasformazioni antropologiche che il turismo di massa produrrebbe nei luoghi e nelle persone. Chi lo scrisse, giunse alla conclusione che luoghi e persone si riducono consapevolmente a caricature, per compiacere il turista e assecondare l’immagine che il turista ha di quel luogo, salvo poi pelarlo con conti da paura che giustifichino la messinscena. Finendo poi, gli attori, per perdere dignità e identità.
Io i gestori sardi del ristorante con l’aggiunta di maionese a quattro euro li conosco. Sono uguali a loro stessi da vent’anni e anche l’aspetto del loro locale è rimasto immutato anche se, nel frattempo, il buon andamento degli affari ha reso necessario raddoppiare gli spazi. Non c’è molto da indagare o da fare analisi antropologiche su uno scontrino immorale o su una voce del conto gonfiata, nel loro caso. Pura avidità. La manifesterebbero anche se facessero i meccanici, i fruttivendoli o praticassero qualunque altra forma di commercio. Così come conosco tanti altri ristoratori che sono rimasti fedeli a loro stessi anche nell’onestà e nel modo di apparire. Alla fine, qualunque lavoro si faccia, contano sempre i valori principali che ci hanno insegnato da bambini, il rispetto prima di tutto. Se te lo hanno insegnato bene, non dovresti scordartelo nei pochi passi tra la cucina ed il tavolo del ristorante dove devi posare una ciotola con una cucchiaiata di maionese.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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