Che poi lo so benissimo che con questa storia del bunker rischio di risultarvi pesante, che non è che uno può stressare la gente ogni settimana con le sue paranoie per dissimulare la sua misantropia galoppante. Lo so che potreste iniziare ad odiarmi. Anche per questo mi sto facendo un bunker. Però, al di là della vostra pazienza messa alla prova, volevo dirvi che questa settimana di ragioni per rintanarsi nel bunker ce ne sono parecchie. A parte i sondaggi che danno i grillini in ascesa, a parte Berlusconi che allatta l’agnello, a parte Ivan il russo, c’è che sta per scoppiare la terza guerra mondiale. Che poi non lo so se scoppierà davvero; diciamo che sentirsi schiacciati tra Donald e Kim non è una bella sensazione. Entrambi alle prese con problemi di impotenza, uno perché vecchio, l’altro perché obeso dalla nascita, se la giocano a missili. Tipico. Il punto è che in questo gioco a sublimare, poi i missili non è che sappiano di essere delle metafore. Freud, parlando dei sogni, diceva che a volte un sigaro è semplicemente un sigaro. Allo stesso modo, un missile alla fine è pur sempre un missile. Per questo ho deciso di rinunciare alle soglie in granito per la scala di accesso, e me la sto facendo in mattoni pieni: più economici, robusti, pronti alla consegna. Che qui ogni giorno rischia di essere prezioso.
C’è solo una cosa che mi turba un po’. Avrete notato il compiacimento, il gusto, il sollazzo con cui la stampa nazionale ha dato la notizia del mega missile di Donald. Lo hanno chiamato “la madre di tutte le bombe”. E hanno dato l’impressione di divertirsi pure. Come se fosse il lato divertente, quello da cogliere. Come se la vera cifra di quel bombardamento fosse l’americanata, l’azione, il botto. Non la devastazione sul terreno, di cui non sapremo mai nulla, ma l’aspetto pirotecnico. Certo, se Donald mai decidesse – alzi la mano chi si sente di escluderlo – che l’Europa è diventato uno stato canaglia, starmene in un bunker potrebbe servire a poco, molto poco. I nostri bunker sono fragili, rispetto alla potenza che una guerra può esprimere. Ma c’è un altro motivo per cui infilarsi in un bunker potrebbe risultare inutile: dopo che ho sentito parlare della madre di tutte le bombe, anziché andare in piazza a bestemmiare in tutte le lingue che conosco (poche), uno dei primi pensieri che ho avuto è stato: “Cazzo, chissà che botto”. Ecco, ho paura che anche se mi chiudessi dentro il bunker, non potrei impedire al nemico di entrarci con me.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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