I primi 100 giorni del governo Trump hanno evidenziato una gestione, come si temeva da più parti, non solo conservatrice, isolazionista e in economia segnata da un liberismo oltranzista, ma rischiosa e spregiudicata sotto il profilo della politica estera. L’attacco alla Siria, a suo tempo evitato dal predecessore, pur criticatissimo in politica estera, mostra una superficialità nei rapporti internazionali da far temere un peggioramento e un serio deterioramento degli equilibri mondiali. Dato che ho già scritto su queste questioni e non mi pare il caso di ripetermi, pubblico uno stralcio del mio articolo scritto dopo l’elezione di Trump (Trump, il Wrestling e noi), che spiega le motivazioni sociali e culturali della capriola acrobatica di una parte della sinistra osservatrice in Italia e in Europa, che insieme alla destra ultra liberista e conservatrice ha accolto con favore e, persino grandi feste l’elezione dell’ineffabile miliardario americano, insieme allo stralcio di un altro mio articolo (Sono tutti siriani) che accenna ad un fatto troppo spesso trascurato: Assad è un dittatore, ma di un paese laico, che combatte contro l’Isis, matrice di quel terrorismo che sta devastando l’Europa.
Mentre la coscienza civile americana si vergognava, in Europa molti festeggiavano la vittoria del palazzinaro americano. Ho visto sinceri pacifisti inneggiare ad un presidente che da sempre è schierato con la lobby delle armi e per la totale deregolazione della loro vendita. Ha preso piede nel mondo, infatti, l’idea che la Clinton incarnasse lo status quo guerrafondaio e finanziario delle lobby, mentre Trump, con il suo fare guascone, fosse un popolano arricchito ma fuori da ogni gioco di potere. Alla Clinton, pertanto, sono state attribuite facoltà di fare e disfare guerre e pace, e una volontà di prosecuzione delle guerre in atto in continuità con i suoi predecessori. Mentre Trump è stato visto in discontinuità con questo sistema. Come questa lettura dello scenario internazionale e della politica interna americana possa essere diventata così diffusa anche nella parte più cosciente e acculturata della società, nonostante le palesi ed evidenti contraddizioni, si spiega solo con una tendenza sempre maggiore alla semplificazione del suo immaginario, e non contempla il fatto che il presidente degli USA non decide da solo la guerra e la pace, ma è molto più pragmaticamente un mediatore di potenti forze a volte opposte tra loro. Un equilibrista insomma, in una società apertamente dominata dalle lobby. Questo endorsement di una parte insospettabile della società europea con un personaggio che incarna profondamente i disvalori di solito più combattuti, si pensi al razzismo, si spiega con il distacco sempre crescente tra il popolo e la casta. E’ in atto infatti una guerra civile, in tutto il mondo occidentale, come anche la Brexit dimostra. E cioè la guerra tra il popolo e la casta economica e politica. Una casta che difende i propri privilegi oligarchici scaricando il peso della crisi sul popolo. Il colmo del paradosso si raggiunge durante le elezioni, sempre più disertate, non a caso. In quella situazione spesso riesce a vincere chi opera una doppia manipolazione, un doppio inganno. Presentarsi esattamente come uno del popolo. Vedete? Io sono candidato, ma sono uno di voi. Parlo con un linguaggio da pub, bevo, mangio, e rutto esattamente come voi. E ho i soldi, tanti soldi, fatti senza nessun merito, e ho donne, tante belle donne. Incarno i desideri del popolano medio. Oltre a presentarsi come uno del popolo, il candidato che vuole convincere l’elettore di non essere un nemico, di non essere un oligarca della casta, opera un’altra manipolazione, lo “spostamento”. La colpa della vostra situazione, sapete, non è “nostra”, ma loro. Ma loro chi? Come chi? Ma i messicani, i cinesi, gli extracomunitari, i negri, gli immigrati, gli zingari. Non dovete guardare in alto, per cercare il colpevole, ma in basso. La colpa non è di una classe politica e di un potere finanziario che ha mantenuto tutti i suoi privilegi, ma è di quelli lì, degli estranei, dei diversi. Io non sono razzista ma. A questo si aggiunge il disappunto della parte più sensibile della società che assiste, in giro per il mondo, alla morte continua di centinaia di innocenti a causa di guerre provocate dallo stesso sistema. Basta! Che si cambi purché sia! Ed ecco che l’inganno si compie. La gente sfoga la sua rabbia nei confronti di quelli ancora più poveri e disgraziati di loro, e vota quelli che appaiono come uno di loro, che manifestano gli stessi fastidi e le stesse paure, che si atteggiano ad antipolitica, a non-partito con un non-statuto, che si presentano come estranei al mondo politico o come il rottamatore di turno della vecchia classe dirigente. Il paradosso è che per andare al potere politico, oggi, ci si deve presentare come contrari alla politica. Insomma, ci si deve presentare come contrari a se stessi e, nel contempo, distruggere le fondamenta democratiche della civile convivenza e della solidarietà. Questo paradosso che abbiamo visto in Italia e in Europa è iniziato e importato proprio dall’America, si pensi all’attore presidente Ronald Reagan. Ma nel suo viaggio di andata e ritorno dall’America il fenomeno paradossale ha acquistato energia, dando vita al capolavoro assoluto della cialtroneria politica: Trump. Oggi gli americani coscienti sono affranti di avere un presidente americano che reputa giusto menare la donna, che odia il Papa ma adora la sacra Bibbia, che si mostra xenofobo e razzista all’eccesso, che deride i cambiamenti climatici come invenzioni dei cinesi, e così via. Ma non si sono resi conto che il popolo, pur di scardinare il sistema, è disposto a tutto. Anche a sostenere Trump nella speranza che, chissà, la sua lontananza dai modi tipicamente oligarchici ed affettati del potere possa consentire di tirare fuori qualcosa di buono.
La Siria, paese posto in una posizione strategica, fino a pochi anni or sono aveva una economia solida, un benessere abbastanza diffuso, buoni affari internazionali, scuole efficienti, sanità discreta, porti e aeroporti funzionanti. E la disgrazia di avere una specie di dittatore al governo. Anzi, una doppia disgrazia, perché Assad, oltre ad essere un dittatore, non si faceva mettere il piede in testa da americani, europei, israeliani. Per anni la Siria è stata considerata uno stato canaglia, nemico dell’Occidente. Per quali motivi, non è dato sapere. Però sappiamo che nel 2011 la Siria ha deciso la costruzione di un metanodotto che proviene dal più grande giacimento del mondo, in Iran, con la creazione, di fatto, di un canale di distribuzione autonoma di gas verso l’occidente. La guerra civile è scoppiata nel 2011. E’ iniziata con le proteste della cosiddetta primavera araba. Tra i contestatori si sono infiltrati dei ribelli, a quanto pare addestrati e armati dai paesi occidentali e loro alleati, USA, Turchia, Francia, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar. Paesi che operano con specialisti, sembra essere ormai accertato, direttamente nel teatro di guerra, con il pretesto di aiutare i ribelli a rovesciare il dittatore. Poco importa che questi ribelli, ormai, siano guidati da pericolosi fondamentalisti a maggioranza salafita, con lo scopo di rovesciare un governo laico per impiantarne uno fondamentalista. Si ricorderà l’escalation bellico tentato dagli USA, per voce del suo presidente “pacifista”, con Francia, Turchia e, in un primo momento, Regno Unito, pronti all’attacco, con il pretesto, mai dimostrato, dell’uso di armi chimiche da parte di Assad. Con le proteste del Vaticano, il diniego dell’Italia, della Cina e di altri paesi e la mediazione della Russia, la guerra fu evitata. Non fu evitata la distruzione della Siria, con una guerra civile drammatica, atroce, devastante, dove sia il governo legittimamente eletto che i ribelli fondamentalisti non hanno risparmiato atrocità e crudeltà. Sullo sfondo, l’avanzata dello stato islamico fondamentalista dell’Isis, tra l’indifferenza di tutti, curdi a parte. La Siria è un paese distrutto, allo sbando e, forse, si spiega così la rinuncia a quella guerra. Non ce n’era bisogno, ci sono altri sistemi, ora, per distruggere un paese. Un paese con una economia forte, con una grande storia e cultura, oggi non esiste più, non ha futuro, e la gente non può fare altro che scappare, perché restare significa rischiare di morire, o peggio, di vedere morire i propri figli, i propri bambini.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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