Era il 16 aprile, era il 1995 ed era il giorno di Pasqua, come oggi. Iqbal era un sindacalista atipico e quando parlava di sfruttamento del lavoratore sapeva esattamente il fatto suo. A quattro anni era stato costretto a entrare nel mondo del lavoro. A cinque era stato venduto dal padre a un venditore di tappeti con cui era in debito, e ne era divenuto schiavo. Da quella schiavitù aveva anche provato a fuggire, iniziando a portare in giro per il mondo il suo messaggio di denuncia sulle condizioni disperate in cui molti bambini pakistani erano costretti a lavorare dalla “mafia dei tappeti”.
Venne in Europa, andò in America, parlò di fronte a accademici, politici e sindacalisti di tutto il mondo. E riuscì a scoperchiare un sistema di sfruttamento tanto primitivo quanto capillare e organizzato. Le pressioni internazionali costrinsero il Governo pakistano a prendere provvedimenti che portarono all’uscita di molti bambini dalle fabbriche-lager in cui erano reclusi.
Ma quel giorno di Pasqua, in circostanze mai definitivamente chiarite, una pallottola interruppe per sempre quell’esperienza di lotta. Iqbal Masih aveva in quel momento dodici anni.
La sua morte però ebbe effetti che i suoi probabili carnefici non potevano desiderare né prevedere. Era già un simbolo quando venne ucciso e anche ora, a ventidue anni da quei fatti, Iqbal continua la sua lotta. Molte scuole e piazze oggi portano il suo nome, molti convegni e studi affrontano i temi da lui sollevati e spingono per lui, che non può più farlo, verso il riconoscimento di diritti che evidentemente, fuori dal recinto felice in cui siamo nati, non sono affatto scontati.
Mi resta solo il dubbio che quel grande meccanismo internazionale di pesi e contrappesi che è il mercato, quelle relazioni sbilanciate tra esseri umani ricchi e esseri umani poveri, non abbiano in fondo risentito, nel loro insieme, del passaggio di Iqbal su questa terra.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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