Arcipelago Gulag è una ferita mai rimarginata per chi si è occupato da giovane di comunismo e, successivamente, di carcere. Aleksandr Solženicyn è stato quello che ha provato a raccontare le terribili esperienze dei lager speciali sovietici non diversi dai lager delle altre dittature. Il libro venne pubblicato nel 1973 ed uscì per la prima volta il 28 dicembre. Sono passati 43 anni e per molti che leggono questa macchina del tempo sembra si parli del medio evo. Avevo 13 anni e, sinceramente non mi occupavo di comunismo e di carceri. Lo avrei fatto dopo qualche anno scoprendo che non esiste un potere buono: tutti sono orribili e nascondono milioni di nefandezze. Come il carcere. Arcipelago Gulag, in fondo, è la narrazione quotidiana delle piccole angherie che Michel Foucault negli anni chiamò “microfisica del potere”. Una delle angherie che non siamo riusciti nel corso degli anni ad eliminare è la famigerata “domandina”. Essa esiste ancora oggi nelle carceri italiani ed è la vera essenza della microfisica del potere. Un detenuto, ancora oggi, se deve acquistare qualcosa, parlare con qualcuno, telefonare ai propri familiari deve scrivere una domanda che nel gergo penitenziario viene comunemente chiamata come “domandina”. Un diminutivo che, in realtà è un dispregiativo. Tutto ciò che riguarda i detenuti è diminuito: i lavori hanno nomignoli come spesino, scopino. Fanno parte di un gioco terribile che ancora oggi esiste. Con alcuni accorgimenti e, per fortuna, con alcune democratiche conquiste, il detenuto ha recuperato molti spazi e qualche dose di dignità, ma la domandina è rimasta sempre quella. Esiste perché deve necessariamente esistere il potere e la microfisica del potere. Ho letto, nel 1979, prima del concorso per educatore, il libro di Aleksandr Solženicyn. Arcipelago Gulag è un terribile libro che racconta una grande verità: il carcere è un immenso arcipelago. Isole che difficilmente si incontreranno.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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