L’otto novembre è un giorno speciale, e qualsiasi cronologia fa saltare subito agli occhi per quale motivo: è il giorno in cui di solito si svolge l’elezione del Presidente degli USA. Da più di un secolo e mezzo, ogni otto novembre il mondo si ferma per qualche ora e si gira da quella parte, per vedere come va a finire. L’otto novembre però è anche l’anniversario dell’arresto di Antonio Gramsci da parte del governo fascista di Benito Mussolini. Gramsci, un politico, un letterato, un pensatore, arrestato esattamente novanta anni fa, ha passato in carcere gli anni in cui poteva essere più utile o più pericoloso, a seconda dei punti di vista. Il fatto che i Quaderni siano stati sia utili che pericolosi, non ci solleva dall’immaginare cosa avrebbe potuto combinare se fosse stato libero di fare politica.
Quello che è successo a Gramsci novanta anni fa, sta succedendo oggi in Turchia. Certo, non solo in Turchia. Anche in Arabia, anche in Egitto, e in generale in ogni realtà priva di democrazia. Ma la Turchia merita un discorso a parte. I Turchi ambiscono ad entrare in Europa da tempo, e da quasi trent’anni hanno formalizzato la domanda di ammissione. Da allora è partito un lungo processo di adeguamento ad alcuni standard richiesti, riferiti a materie che vanno dalla libera concorrenza alla tutela dell’ambiente, dalla ricerca scientifica alla sicurezza alimentare, dalle politiche sociali a quelle energetiche.
Sembrava un processo lunghissimo e difficile, fino a quando non è salito al potere Erdogan e fino a quando la Turchia non si è trovata sempre più a fare da porta d’accesso di importanti flussi miratori diretti in Europa. Porta che viene chiusa o aperta a seconda delle esigenze turche. Attualmente dunque abbiamo una Turchia sempre più distante dall’Europa sul piano dei diritti umani e sempre più vicina in quanto dotata di un potere contrattuale (per non dire “ricattatorio”), legato alla sua posizione geografica.
Paradossalmente, le minacce ai diritti umani sul fronte interno (soprattutto a danno di critici e oppositori), in quanto ostacolo a un ingresso del Paese nella UE, vengono controbilanciate da violazioni dei diritti umani sul fronte esterno, su cui i riflettori dell’Europa restano spenti.
Ecco, io credo che il vero piede d’argilla dell’Europa unita sia questo: ha bisogno di violare i suoi stessi valori per mantenere una parvenza di integrità. Ha bisogno di lasciare fuori –in malo modo- la disperazione, per continuare a coltivare un benessere sempre più difficile da garantire.
Ovviamente non ho idea di cosa succederà, se Erdogan l’avrà vinta, se l’Europa troverà modi più umani di gestire il problema dei flussi migratori, se quei riflettori continueranno a restare sempre più colpevolmente spenti. So solo che oggi, otto novembre, ributtando lo sguardo oltre l’Atlantico, non so cosa sia peggio per noi europei, se l’interventismo della Clinton o il populismo paranazista di Trump.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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