La Macchina del tempo oggi si è aperta in Piazza San Venceslao, a Praga. Le porte si sono spalancate nel tardo pomeriggio, lasciando entrare un’aria buia e fredda; ma siamo a Praga, è inverno, è quasi sera, e direi che sia normale. Piazza San Venceslao sembra brulicare di una vita più lenta di quella del gennaio precedente, quando Dubcek e gli altri riformisti erano saliti alla guida del paese. Era sembrato possibile un socialismo diverso, era sembrato possibile mantenere in piedi un’economia non capitalistica, allentando un po’ il controllo sulla stampa, sull’arte, sul pensiero, sul bisogno di associarsi e discutere di politica, o anche solo di discutere. Quella Primavera, iniziata nel gennaio del ’68, era morta nell’Agosto dello stesso anno quando i carri armati del Patto erano entrati a Praga, riportando il calendario indietro di qualche decennio. A un certo punto, mentre l’aria fredda e buia di quel pomeriggio continua a entrare nella Macchina, un ragazzo di 21 anni, studente di Filosofia, arriva in Piazza, poggia per terra una sacca piena di libri e appunti, fa qualche passo fino a raggiungere una distanza di sicurezza, poi apre un contenitore, si versa addosso la benzina che conteneva, e si dà fuoco col suo accendino.
Jan Palach morirà dopo tre giorni di agonia vigile, durante i quali proverà a spiegare il senso di quel gesto. Tra i suoi appunti venne trovata questa dichiarazione: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito di volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il n° 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy [il notiziario delle forze sovietiche di occupazione]. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro 5 giorni e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia si infiammerà”.
È impossibile sbrogliare la Storia e assegnare ad ogni evento, ad ogni persona, ad ogni esercito, ad ogni vita calpestata, ad ogni gesto e ad ogni parola pronunciata, il peso vero che ebbero nel costruire quello che abbiamo oggi, e l’oblio è indispensabile alla vita quanto l’acqua. Restano i libri di storia, restano la voglia di leggerli e il bisogno di scriverli; resta la memoria, come muscolo di cui ognuno fa l’uso che può farne, e restano alcuni gesti.
Io credo che senza le fiamme di quel pomeriggio buio in Piazza San Venceslao, ci dovremmo raccontare un’altra Storia.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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