I fatti di Colonia hanno prodotto un risultato evidente. La sconfitta, in Europa, dell’antirazzismo come valore fondante della società. Ciò si evince dalla saldatura di pensiero tra la parte più ignorante, analfabeta funzionale e anaffettiva della società, con una larga parte degli opinionisti, dei giornalisti, degli intellettuali e del mondo della cultura. Quindi non solo i giornali che ci hanno abituato alle bufale sui migranti, quelli che in questi giorni hanno scritto delle idiozie del tipo “mille migranti violentano decine di donne”, cose del tutto lontane dalla realtà dei fatti ma buone per alimentare il clima razzista e xenofobo a scopo di consolidare il potere delle destre, ma anche autorevoli osservatori con fama di opinionisti equilibrati e illuminati, hanno abbandonato l’antirazzismo. Il tutto sintetizzato dalla frase “difendere i nostri valori”. Una frase che, all’apparenza innocua, sottintende un etnocentrismo di fondo, modo sofisticato per definire il razzismo meno becero, dove la mente giustifica la pancia. Un frase che contiene una componente di ipocrisia assoluta: se davvero avessimo voluto difendere certi valori, avremo appoggiato, dopo la fine del giogo coloniale, quelle nazioni musulmane più laiche, come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, dove, con tutti i loro limiti e la lunga auspicabile strada verso una democrazia da compiere, comunque consentivano alle donne di uscire in minigonna e i capi di governo si vestivano in modo laico. Avremo aiutato i paesi giovani nel lungo percorso verso la democrazia, invece di bombardarli e gettarli nel caos. Invece abbiamo appoggiato le petrolmonarchie come l’Arabia Saudita, dove le donne non possono manco guidare l’auto. Risultato, lauti affari con le petrolmonarchie, e avanzata dell’Isis in Iraq e in Siria e dei Talebani in Afghanistan. Se avessimo voluto difendere il valore dell’emancipazione femminile, avremo sostenuto i paesi arabi dove questa era più avanzata, e non il contrario. E magari ci saremmo pure posti il problema se la mercificazione del corpo della donna, in Occidente, la stessa che fa vendere una merce sulla base della fetta di culo che viene esposta nei cartelloni pubblicitari, sia un modo coerente per l’emancipazione femminile. Perché in tutta onestà, dietro la bella frase “difendere i nostri valori”, si nasconde il vero valore dell’Occidente, sintetizzato in quel moto anglosassone: “first business”. E’ questo il valore che difendiamo, ma non da oggi, da almeno il 1500, cioè da quando il commercio si è spostato su scala planetaria. La possibilità di far passare un oleodotto in Siria per far giungere il petrolio delle petrolmonarchie: è questo il valore che stiamo difendendo, siamo onesti. Perché sappiamo bene, drogati come siamo dal consumismo, che l’unico valore che ci interessa, oggi, è quello dei soldi. Che è un valore quantitativo che disumanizza, porta via tradizioni, spirito e sentimenti, e ci rende sempre più poveri umanamente, aridi, privi di compassione. E, più o meno consapevolmente, sappiamo che la nostra ricchezza è interdipendente con la loro povertà. Ecco perché diamo un valore etnico, di differenza culturale e di superiorità civile, ad una guerriglia urbana, della stessa natura di quella che ha tenuto sotto scacco Roma alcuni mesi fa, a causa di hooligans olandesi, che hanno messo a soqquadro la città e danneggiato alcuni monumenti patrimonio dell’umanità. Solo che quelli erano olandesi, cioè erano europei, bianchi e, soprattutto, ricchi. Ricchi e dunque civili. Per cui abbiamo preferito, dato che gli olandesi sono un po’ più ricchi di noi, darci persino le colpe a noi italiani di quanto successo. Perché la civiltà, oggi, nel nostro mondo privo di valori veri, si misura dal reddito pro-capite. Peccato che la maggiore multinazionale del pianeta sia proprio olandese, anzi anglo-olandese, che porta ricchezza in Europa, prelevando il petrolio dalla Nigeria. Petrolio Nigeriano, cosa loro, in teoria. Risultato, la Nigeria è un paese povero, squassato da guerre e fondamentalismi, mentre l’Olanda un paese ricco. Però nessuno, giustamente e per fortuna, si sogna di giudicare un intero paese per le intemperanze dei loro hooligans, siano essi inglesi, tedeschi o olandesi. Il discorso però cambia, quando le intemperanze, la guerriglia urbana, ha come matrice il mondo islamico, o quello degli extracomunitari, o dei rifugiati. La propaganda razzista, xenofoba e fascista raggiunge allora le dimensioni che va ben oltre il fatto accaduto e la realtà. Una film già visto. E’ la storia dell’umanità, se vogliamo. Giustificare il saccheggio delle altrui risorse con l’inferiorità di quelli. Anche se so che è inutile dirlo, dato che il razzismo, ormai, ha trovato nobili alleati e nobili motivazioni, ma è la logica del branco, e non dell’inferiorità etnica o religiosa, a governare il comportamento delle persone in questi frangenti. Il branco di giovani maschi, in particolare, si muove mosso da una sorta di esaltazione collettiva che non consente loro di percepire paura e le conseguenze delle loro azioni. Il branco si forma per le motivazioni più disparate, non solo di ordine sociale, ma anche di competizione fra gruppi e altro ancora. Il branco devasta, saccheggia, annienta i nemici maschi e rapisce le femmine. Il giorno di Capodanno del 2012 un pacifico signore, in Inghilterra, scese in strada a chiedere a dei ragazzacci di fare un po’ da bravi. La reazione del branco fu sorprendente. La persona fu circondata da 35 energumeni che presero a picchiarlo selvaggiamente con mazze e bastoni fino quasi ad ammazzarlo. C’è un filmato che ha ripreso soldati americani che stupravano, in gruppo, una ragazzina irachena. Gli esempi di come agisce il branco sono infiniti, e non riguardano solo situazioni belliche, ma anche il tempo di pace, nelle forme in particolare della guerriglia urbana. E riguarda, in quanto sostanziale unicità della psicologia umana, tutte le popolazioni della terra. Il branco si muove come un unico organismo. Scatta un interruttore nella mente dei componenti, un meccanismo dell’evoluzione che per milioni di anni è servito a vincere la paura del branco nemico o della feroce preda da uccidere. Il branco distrugge, devasta, saccheggia, massacra i nemici, violenta le donne. Non è dunque una componente etnica o religiosa che ha provocato i fatti di Colonia, o di Roma, o di altre parti, anche se la religione, l’etnia e il pregiudizio vengono portati spesso a pretesto dallo stesso branco. E’ invece un archetipo violento e maschile, guerrafondaio e oppressivo, che guida il comportamento degli uomini in queste circostanze. Questo meccanismo antropologico merita solo di essere represso. Con tutte le precauzioni di una moderna cultura e civiltà, sono persone da incarcerare senza nessuna attenuante, e anzi con tutte le aggravanti possibili. Siano essi europei o arabi.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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