Quando Marc Marquez è piombato nel ristretto club della MotoGp, il circolo riservato ai più grandi talenti del motociclismo contemporaneo, intenditori o semplici appassionati hanno capito all’istante: quel ragazzino spagnolo era forse il più grande fuoriclasse che avesse mai cavalcato un bolide da Gran Premio. Pilotava la sua Honda come un ferro da stiro, lasciandola scivolare in derapata all’ingresso di ogni curva e da ogni curva portandola fuori piegata al limite estremo dell’equilibrio, il gomito ad un millimetro dall’asfalto. Ma Marquez non era solo un cavaliere da rodeo, Marquez era maledettamente veloce. Vinse il mondiale nel 2013 all’ultima gara, soffiandolo al connazionale Jorge Lorenzo. Era la sua stagione d’esordio nella MotoGp. Si è confermato lo scorso anno, dominando il campionato con una sequenza entusiasmante di successi e dimostrando una superiorità avvilente per gli avversari. Pronti, via, Marquez scappa e col resto del gruppo ci si vede al traguardo. Si combatte per le posizioni di rincalzo, mai per il primato. Il cliché era questo, immancabilmente.
Il 36 enne Valentino Rossi, considerato da molti il più grande pilota di tutti i tempi, sembrava avere accettato con serenità le sentenze del tempo e l’imporsi a suo discapito di una nuova generazione di corridori, molto più giovani e sfrontati di lui. Dopo i trionfi con la Honda e la Yamaha e la deludente parentesi con la Ducati, Valentino sembrava tornato su una moto competitiva solo per raggranellare qualche piazzamento e qualche fortunosa vittoria, rassegnato all’imbarazzante dominio del fenomeno iberico, ormai soprannominato “L’Alieno”. “Come questo, nessuno mai”, abbiamo pensato tutti, facendo scorrere nella mente le immagini dei mostri sacri della storia del motociclismo: Giacomo Agostini, Kenny Roberts, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Mick Doohan, Wayne Rainey, Kevin Schwantz e, appunto, Valentino Rossi. Poi è iniziata la stagione 2015, per i più destinata ad un dominio ancora più schiacciante di Marquez. Invece Rossi ha vinto la prima gara, in Qatar. Però, facevano notare gli scettici, quella gara si disputa in notturna e le gomme, componenti fondamentali per la prestazione della moto, hanno un rendimento anomalo, tale da alterare i reali valori in campo. Dai, non era vera gloria. Oltretutto, Marquez era incappato in un lungo nei primi giri risultando penalizzato in maniera decisiva da quell’errore di guida, nonostante una gagliarda rimonta. Si è subito riscattato in Texas, battendo tutti alla sua maniera e ricordando di essere lui il più forte. Lo scorso week end il circo della MotoGp si è riunito in Argentina. Marquez in pole position, Rossi solo ottavo sulla griglia. Vuoi vedere che questo campionato è la solita, monotona celebrazione dell’Alieno iberico? L’Alieno ci mette due curve a lasciarsi alle spalle tutto il resto del gruppo, trascinandosi dietro la Ducati di Dovizioso ma poi staccandola senza pietà. Rossi è imbottigliato nel plotone e rinviene a stento, però guadagna posizione su posizione. Salta il compagno di squadra Lorenzo, scavalca le due Ducati di Iannone e Dovizioso e ad un terzo di gara è secondo. Inseguimento alla prima posizione? Ma quale inseguimento? Marquez ha già guadagnato oltre quattro secondi che, per chi poco sapesse di gare di motociclismo, sono un’eternità. Marquez ha la sua solita guida da spaccone. Strattona la moto, sembra quasi maltrattarla, le gomme lasciano sull’asfalto virgole, come pennellate di un artista sulla tavolozza. E invece Rossi rimonta, trainando al suo seguito quel mastino di Andrea Dovizioso. Due decimi al giro, poi mezzo secondo, poi sempre di più. Guido Meda e Loris Capirossi, in cabina di commento, strepitano, intuendo che l’inimmaginabile sta per accadere. Al penultimo giro Valentino attacca e passa, ma Marquez torna avanti una curva dopo. Un rettilineo dopo Rossi succhia ancora la scia del leader, tira una staccata al limite e stavolta passa, definitivamente. L’Alieno è come tramortito, prova una reazione scomposta e tampona il rivale, finendo lungo disteso. Rossi vince. E vince forse la gara più impossibile da vincere della sua carriera. Più di quella a Laguna Seca, nel 2008, quando domò e piegò un altro campione ritenuto invincibile, l’australiano Casey Stoner.
Non so come finirà questo mondiale, ma so che Marquez non è più L’Alieno inavvicinabile. Perché vi ho raccontato questa storia di motori? Perché anche in una giornata triste come quella di ieri è lecito entusiasmarsi per una impresa sportiva. Ma soprattutto perché ci regala speranza: la storia non è già scritta, noi non siamo condannati a perdere sempre o a lottare solo per un piazzamento. Si può vincere anche quando tutto sembra perduto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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