Andare al cinema è sempre una buona occasione per smorzare l’intrinseca pallosità del lunedì. Se poi in cartellone c’è “Il caso Spotlight”, due statuette per il miglior film e la migliore sceneggiatura, ancora meglio. Ero curioso di vedere la ricostruzione della clamorosa inchiesta del “Globe” sui preti pedofili dell’arcidiocesi di Boston. Inchiesta che, qui in Italia, è arrivata molto affievolita rispetto allo scandalo suscitato negli Stati Uniti e, soprattutto, ai risultati ottenuti.
Dei tre spettacoli in programma scelgo quello intermedio delle 20. In platea ci sono dieci persone. Stando a non confermate voci di corridoio in galleria ci sarebbe anche un altro spettatore ma dal basso non si vede. In tutto, insomma, dovremmo essere undici paganti per un incasso totale di euro 77. Chiedo alla commessa del bar come mai ci sia così poco pubblico. Mi risponde che, nonostante il film sia splendido, a Olbia non tira proprio, che il picco massimo l’ha fatto registrare la domenica prima, con 60 paganti in tre spettacoli e che, visto l’andazzo, “Il caso Spotlight” uscirà subito dalla programmazione e sarà archiviato sotto la voce flop. Incuriosito, vado a cercare sul web la classifica degli incassi e scopro che, nella sua prima settimana di programmazione in Italia, il film di Tom McCarthy è andato abbastanza bene, con oltre 680.000 euro raccolti al botteghino. Insomma, l’anomalia è qui, in questa sala.
Peccato. Perché “Il caso Spotlight”, oltre che essere un gran bel film, tratta argomenti scomodi e delicati che dovremmo tenere bene a mente. Ruota tutto attorno alla complessa e delicata inchiesta che consentì ai giornalisti investigativi del “Boston Globe”, il team Spotlight, di squarciare il velo di silenzio e omertà che i vertici della Chiesa cattolica, con la complicità delle autorità locali, avevano organizzato per coprire gli abusi sessuali commessi dai preti in città. Scoprirono che non si trattava di vicende isolate ma di un fenomeno molto diffuso. Scoprirono che tutti i casi venivano insabbiati, che le vittime non erano messe nelle condizioni di ottenere giustizia, che i responsabili non venivano radiati ma spostati in altre parrocchie dove continuavano a dire messa e molestare bambini, che una buona fetta di “quelli che contano” a Boston sapeva ma accondiscendeva, che l’arcivescovo Bernard Francis Law era a conoscenza di tutto ma non è mai intervenuto per punire i responsabili, che pure i superiori di Law sapevano e nulla fecero per proteggere i bambini dagli orchi vestiti da prete. Scoprirono tutto ciò e vinsero il Pulitzer nel 2003.
Per noi italiani, questo film è ancora più importante. Perché ci ricorda che l’arcivescovo Law, costretto alle dimissioni dallo scandalo, non fu allontanato ma trasferito. E sapete dove? A Roma, dove ottenne l’incarico di arciprete della Papale Basilica Liberiana della chiesa di Santa Maria Maggiore. Il cardinale che coprì qualcosa come 5000 casi di pedofilia fu persino invitato dalla Diocesi di Siracusa, nel 2011, alla festa di Santa Lucia. Law non è stato cacciato dalla Chiesa cattolica per non aver difeso i valori che dice di rappresentare. E’ ancora lì, a testimonianza che ciò che è accaduto negli Stati Uniti non ha avuto alcun effetto in Italia, dove il Vaticano ha la sua casa.
Il film “Weekend” (Orso d’oro a Berlino e candidato a un premio Oscar) uscito il 10 marzo scorso in Italia e basato sulla storia d’amore tra due giovani uomini, viene proiettato solo in dieci sale in tutto il Paese. Perché è stato bocciato dalla Cei, la commissione episcopale italiana che controlla, in qualche modo, la programmazione di 1600 sale cinematografiche, tra cui una buona fetta dei cinema d’essai. Per la cronaca, le dieci sale in cui è possibile vedere “Weekend” sono tutte al Nord.
Credo insomma che film come “Il caso Spotlight” abbiano qualcosa di importante da raccontare in un Paese in cui gli scandali si dimenticano facilmente e velocemente. E dove chi svela segreti inconfessabili, anziché vincere un premio giornalistico, viene processato in Vaticano.
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