Marco ha solo dodici anni e, per dirla con una canzone “ha il cuore pieno di paura”. Gioca a pallone Marco e, per Natale, ha chiesto come regalo, un paio di scarpette. I piedi crescono velocemente a quell’età e le ultime, oltre ad essere distrutte, non gli stanno proprio più. Il papà di Marco è stato licenziato da qualche mese e la madre lavora, ad ore, per pochi soldi. Le scarpette non fanno parte delle loro primarie necessità. Marco lo sa. Sa quanto morde questa crisi maledetta, questo voler fuggire verso altri lidi di alcuni produttori, tra i quali quello di suo padre. Il padre di Marco ha perso il lavoro perché il suo “padrone” ha delocalizzato la fabbrica. Produceva lampadari. E’ andato in Bulgaria. Da quelle parti gli operai si pagano meno. Marco ha sorrisi ramificati nei ricordi. Di quando poteva giocare con le scarpette e provare a sognare. Buon regista, Marco. Bella visione del campo. I soliti idoli: Totti, Del Piero, Pogba, Pirlo e, chissà perché, amava Baggio. Il divin codino. Ci pensa tutta la settimana Marco. Ha capito che non può chiedere dal “suo” babbo natale un regalo come le scarpette. Allora decide di cambiare. Di delocalizzare Babbo Natale. Si rivolge, direttamente al “padrone” a chi ha licenziato il suo babbo.
Ecco il testo della lettera di Marco.
“Gentile signor S.D., sono Marco, il figlio di un suo operaio, licenziato dalla sua fabbrica non perché non faceva bene i lampadari, ma perché, secondo lei, quei lampadari costavano meno da altre parti. Questa cosa non l’ho capita. Se poi gli stessi lampadari li riporta in Italia, nella mia città, e li rivende allo stesso prezzo, mi dice cosa ci guadagna la nostra gente? Mi sembra di capire che il guadagno è solo il suo. Bene. Ho detto a tutti i miei amici, quelli con un padre e una madre ancora occupati di chiedere regali, ma di acquistare quelli fabbricati dalle mie parti, nel nostro paese. Lo so, è molto difficile, pensi che anche i giocattoli “feltrinelli” sono made in Thailandia. Questo me lo ha detto la mia professoressa che ci ha anche spiegato il concetto di solidarietà, parola per lei sicuramente sconosciuta. Non aspetto risposte a questa lettera. Mi auguro, però che lei possa passare un natale al buio, anche se produce lampadari. Io domani giocherò a pallone e le scarpe saranno quelle da tennis e non da calcio. Grazie a lei. Ma se segno con quelle scarpe, sarò sicuramente più felice e spero un giorno di illuminare tutto lo stadio con i miei gol e non con le luci dei suoi lampadari. Marco.
Il giorno successivo Marco si presentò nel campo di calcio, con quelle scarpette bianche e senza tacchetti, prese un pallone che sembrava stregato, tirò senza guardare e il portiere lo fece passare….
[liberamente ispirato a “la leva calcistica della classe 68, Francesco De Gregori]
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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