Avete presente vero il culurzone quel fagottino godurioso di pasta fresca e ripieno di ogni ben di Dio. Per ognibendidio intendo tutte le possibili varianti dei culurzones. E per “varianti” intendo che cambia il nome e cambiano ripieno e forma da zona a zona. In mezzo a tanta varietà, una si fregia del titolo IGP, i “Culurgionis Ogliastrini”. “I Culurgionis d’Ogliastra sono un prodotto a base di pasta fresca con forma a fagottino chiuso a mano e racchiudente un ripieno costituito da una miscela di patate fresche o disidratate in fiocchi, formaggi, grassi vegetali e/o animali, aromi. La chiusura del fagottino ricorda una spiga stilizzata.” Qui per approfondire Ora c’è da capire quand’è che le patate siano arrivate nella zona (sì dài preferite le patate ai fiocchi), c’è chi ipotizza nel 1800 mentre le prime tracce di questi simpatici bocconcini risalgono al medioevo, così ci racconta Liliane Plouvier appassionata studiosa della Gastronomia nella Storia. Se così fosse, i primi ripieni potevano tranquillamente essere una delle tantissime varianti alternative ai tuberi. Quelli Ogliastrini hanno ottenuto l’IGP nel 2015 ma anche all’interno di quest’area si trovano delle differenze nelle farce e nelle forme. Leggiamo dal libro di Gianni Pes e Michel Poulain Longevità e Identità in Sardegna ed. Franco Angeli “Ogni famiglia ogliastrina conserva le proprie peculiarità nella produzione dell’impasto e nella dimensione dei culurgiones Per esempio l’aggiunta di menta e aglio all’impasto si può trovare nei culurgiones prodotti a Bari Sardo, Loceri, Tertenia, Jerzu, Ulassai, Osini, Gairo, Cardedu e Lanusei. In quest’ultimo era frequente impiegare su seu (grasso di vitello o manzo fresco) al posto dell’olio d’oliva. Mentre nell’altro capoluogo ogliastrino (Tortolì) oltre che Lotzorai e Girasole l’impasto si compone di patate, cipolle e poco formaggio facendo dominare il sapore dolciastro delle cipolle. Ad Arzana invece è il sapore del formaggio che domina l’impasto”
Il “raviolo” finito è una mezza luna (o dattero) su cui, per chiudere i lembi di pasta, si crea una decorazione a forma di spiga (sa spighitta). In altre zone come Baunei e Triei vengono chiusi a forma quadrata. Insomma visto che varietà vasta, sarebbe da scofanars…. ehm da assaggiarli uno per uno, io credo che uscirebbero tutti vincitori. ********* Non tutti però sanno la vera origine della parola e i fatti che hanno portato a rendere famosi questi ravioli: Signori, ecco a voi la famosissima Leggenda del Santo Culurzone
Si narra che tale Franciscus Geœrgiœnius scriptore di un noto diurnalem del Giudicato di Gallura soleva viaggiare sovente pel Giudicato di Arborea con la sua Ailurus. Erano visite festose et gaudenti poiché gli incontri avvenivano in casa del pregiatissimo caput magister architectus Roberto Smeraldino e della isposa sua Beatrice forse Portinari, la quale per porre finem alle molestie perpetrate da un insoffribile stalker fiorentino, un guelfo, insomma per allontanarsi dalle mire spasmodiche di un corteggiatore ardente quale era costui, la giovine Bea approdò nell’Isola e ivi conobbe lo Smeraldino (Gedeone Ferlizza, Vitæ de le musæ, in Historia Medievale, nº 66, 1966, pp. 516-38), accasandosi in Sedilo Nord o forse Sud, i confini cambiano frequentemente là. Insomma il Franciscus e la di lui isposa Maria, in illo giorno partecipavano al banchetto della famiglia Smeraldino sfidandosi spesso in singolar tenzone “A Lucerna hanno tutti le idee chiare” “A Bari centro raramente si perde l’equilibrio” e altre amenità similari.
Il pasto era composto di preziose ghiottonerie et abbondanti libagioni che possiamo riproporre in un passo dei taccuini Storici del Fancello sulla cucina medievale in genere: “agnelli, maialetti, e pesci sia cotti sulla brace che conservati sotto sale o aceto”
Essendo la famiglia Smeraldino di origine nobile, era la caccia una activĭtas di molto apprezzata dai membri, così addobbavano il banchetto di selvaggina quale
“cinghiale, daino, cervo muflone, lepre anatre e oche selvatiche, galline prataiole, piccioni, colombi, tortore, pernici, quaglie e tordi. Apprezzati in cucina erano i tordi, merli e pernici, prima lessati e poi avvolti con le foglie di mirto e fatti raffreddare, chiamati murtidus o smurtidus”
Per finire poi dolci vari tericas e seadas In tutto questo gozzovigliare e ormai inebriato da fiotti di vinum rubicondo, il Geœrgiœnius, scorse dei fagottini di pasta fresca e non avendo saggiato tali leccornerìe, le indicò sollevando lo dito indice affinché i suoi ospiti potessero meglio comprendere la di lui richiesta. “Eccu illum… anzone” cercava di esprimere correttamente intendendo che voleva assaporare quel piatto posto accanto all’agnello. La favella tradita però da papille pencolanti, strascicò un “…cul… ur… ‘nzone” I suoi ospiti avendo ormai capito cosa stesse indicando e pensando avesse lui coniato un nuovo termine per indicare i fagotti e per non contradicere il forestiero, da quel giorno chiamarono quei ravioli col nome di culurzone Qualcosa però accadde ancora, mentre le instancabili ganasce continuavano a manducare quelle prelibatezze apprestate dalla madama Beatrice, una luce dilacerò le nubi e repentinamente ecco apparire i valorosi scriptori che da anni accompagnavano le scorribande gastronomiche del Geœrgiœni i quali exquotendo lo capo, esprimevano il dissenso al loro diletto amico. Da quel giorno il miracolo accadde e Franciscus adottò uno stile di vita pacato et dignitosamente sobrio.
A cogliere questi accadimenti, una pulcherrima adepta della Setta de Geœrgiœnidi anch’essa scriptorA nel diffuso SardegnaDiarista e proprio ivi la giovine scrivette questo memoriale giacché il giorno prima il mastro Geœrgiœnius attraverso un sordido sotterfugio, propose un Do ut des mascherandolo per un cavalleresco servigio, mentre in realtà nascondeva il raggiro. Ei voleva sgombrarsi la giornata da qualsivoglia gravoso obbligo redationale per dedicarsi alla crapula, al gavazzamento. Finem
(lo scritto è seriamente serio fino agli asterischi e negli stralci storico-gastronomici del Fancello. Tutto il resto a vostra discretione)
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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