Seguendo il consiglio di Guido Melis sul suo profilo Facebook, ho letto sul Messaggero l’articolo di Carlo Nordio su quelle che Melis chiama le leggi “emozionali”, motivate cioè – credo intenda Melis – non dall’alta, sapiente, profonda e assoluta (cioè non condizionata da convenienze di qualsiasi natura) attività del legislatore ma dalle emozioni più diffuse del momento accolte a scopo di consenso dalla classe politica. Leggi che interpretano malamente sentimenti provocati da fatti specifici. Ne è un esempio la pasticciata “riforma” sulla legittima difesa (quella che distingue i malfattori diurni da quelli notturni e le relative reazioni da parte dei galantuomini), ma anche, cito il post di Melis, “omicidio stradale, femminicidio, antimafia estesa a corruzione e persino la recentissima legge sulla tortura. Leggi – dice Nordio – che inaspriscono pene già alte, spesso senza ponderarle nell’insieme dell’ordinamento; e che sono difficili da applicare per l’indeterminatezza della fattispecie e la obiettiva impossibilità di dimostrarne il ricorso”. Non ho le competenze per entrare nel merito dell’opportunità di ciascuna di questi leggi. Ma diffido del tipo di pressione alla quale alcune di esse si sono arrese. E penso al coraggio della senatrice Merlin che negli anni Cinquanta, contro la rabbia di una cultura maggioritaria di filo puttanieri, tra i quali un potentissimo Indro Montanelli, portò l’Italia nel novero dei Paesi civili. O ai legislatori che nel 1981, pur con un’opinione pubblica ancora influenzata in maggioranza dal mito delle corna da vendicare con il sangue, abrogarono la rilevanza penale della “causa d’onore”. E immagino che di questo passo una classe politica così sensibile ai sondaggi di opinione e così incapace di costruire delle opinioni, ci porterà a chissà quali disastri. Mi sembra ora possibile, a esempio, persino un’aberrazione come la reintroduzione della pena di morte, se il prossimo raccapricciante delitto da parte di chissà chi spingerà qualche schieramento politico trasversale a cavalcare la rabbia dei social. Facebook sa essere un buon maestro ma anche un mostruoso trituratore di buon senso. Accanto a riflessioni oneste anche a rischio di impopolarità, come questa di Guido Melis, si trovano valanghe di superficiali commenti che travolgono la verità. E non sempre provengono dall’area che noi di sinistra definiamo “populista”, ma anche da ambienti molto vicini al nostro. Non dico niente di nuovo. Ma avvertire la sempre maggiore influenza di questa marea nera sulla coscienza di chi fa le leggi mi fa paura.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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