Credo che la storia del cecchino “campione del mondo” sia una follia. Ne ha parlato nel suo bellissimo blog Luca Ronchi e mi ha lasciato perplesso che sul Corriere della sera, primo giornale per vendite in Italia, si sia dedicata mezza pagina degli esteri a descrivere questo strano “record mondiale”. Il soldato in servizio a Mosul ha ucciso un uomo. Non è una bellissima notizia. Fa parte di una cronaca di guerra, certo, ma non mi sembra che “mostrare i muscoli” sia qualcosa di utile. Non è una guerra santa e le nostre armi non uccidono infedeli o cattivi. Uccidono uomini. Che ucciderebbero o hanno ucciso altri uomini ma questo, lasciatemelo dire, è davvero un altro discorso. Non capisco come si possa utilizzare mezza pagina di un giornale per un articolo e utilizzare, tra l’altro, didascalie, immagini di film e addirittura la classifica dei migliori tiratori. Scopriamo che dopo il canadese che ha ucciso un uomo a 3.540 metri di distanza, c’è un soldato del Regno Unito fermatosi a soli 2.475. metri, seguono due canadesi e buon quinto un soldato statunitense. Nella foto notizia, inoltre, ci viene raccontato di tale Vassili Grigorevic Zaitsev che durante l’assedio di Stalingrado uccise 225 tra soldati e ufficiali della Wehrmacht e 11 cecchini nemici. Questo dovrebbe essere il recordman di tutti i cecchini, in questo assurdo campionato della morte. Il giornalista del Corriere non dice parola sul soldato morto. Magari non era neppure un soldato. Come si fa a comprenderlo da tre chilometri di distanza? Ci avevano raccontato, una volta delle bombe intelligenti per poi scoprire che proprio aquile non erano. Adesso abbiamo il cecchino campione del mondo. Un medico italiano di “medici senza frontiere” ha raccontato che i cecchini scelgono: “Un giorno per esempio decidono di colpire le donne, e solo al braccio sinsistro, per capire chi ne centra di più”. Probabilmente non è più un paese per vecchi, ma comincia a diventare un paese dove personalmente non ci vivo benissimo. Non so voi ma io quasi quasi chiedo asilo al collega Luca Ronchi e gli faccio compagnia nel suo bunker.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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