Giampaolo Cassitta mi sfida. Bella forza, lui tifa per il Barcellona: ha la sicumera di chi in vetrina espone talenti titanici. Uno per tutti Messi, per me il calciatore più forte della storia. Io invece tifo per la Juventus e devo recitare il ruolo del comprimario predestinato alla sconfitta. Io tifo Juventus da quando avevo sette anni e mi appassionai al calcio coi mondiali di Argentina. L’Italia di Enzo Bearzot arrivò quarta e aveva in squadra il cosiddetto blocco Juve. Zoff, Gentile, Cabrini, Benetti, Scirea, Causio (il mio idolo), Tardelli, Bettega. Giampaolo mi sfida, ma io non ho paura. Se sei tifoso della Juventus, in Sardegna, come minimo sei preso per un traditore: servo della squadra del capitale, infame che rinnega la causa sarda voltando le spalle ai colori del Cagliari e ignora quanto i piemontesi abbiano saputo essere oppressori. Altri ti ricordano della umile condizione degli emigrati dall’Isola, quando Lingotto, Mirafiori e tutte le aziende dell’indotto Fiat erano un ufficio di collocamento sicuro: Torino, dopo Cagliari e Sassari, era la terza città della Sardegna, migliaia di corregionali vi trovarono lavoro. Magari patendo lo sradicamento e i rigori della fabbrica, ma oggi sotto la Mole hanno messo radici.
E poi ti chiedono: “Che gusto c’è a vincere sempre?”. Eh no, perché quando la Juve perde gli sfottò vanno avanti per una settimana e ricevi messaggi anche da gente che, lo avresti giurato, manco sapeva cosa fosse un sms. Quando la Juve vince, è sempre perché gli Agnelli hanno corrotto l’arbitro affinché il disegno finale possa compiersi: far trionfare la squadra del padrone. Non è facile essere tifosi della Juventus. Stagione 1982-1983, derby. La Juventus di Platini, Boniek e Rossi è avanti per 2-0 fino ad un quarto d’ora dalla fine poi, in pochi minuti, il Torino ribalta la situazione e vince 3-2. Piansi disperatamente, il giorno dopo i compagni di scuola infierirono sul mio dolore. Non c’era nulla di importante in palio, ma quella sconfitta la ricordo come un’umiliazione più dolorosa di tante altre batoste. Poi venne il liceo e la politicizzazione del tifo. “Ma come fai a riconoscerti nella squadra del padrone, con le narici foderate di metallo e l’orologio sopra il polsino, sporco sfruttatore del proletariato?” Il tifo è una verità dogmatica, c’è poco da fare.
Non potrò mai dimenticarmelo. Era il 9 settembre 2006 e stavo davanti alla televisione della mia piccola redazione, ad Olbia. Da solo, come un detenuto in cella. In quello stesso televisore, due mesi prima, avevo visto molte delle partite della trionfale cavalcata azzurra in Germania, ma lo spettacolo cui mi accingevo ad assistere questa volta si svolgeva in un palcoscenico di periferia. Non c’era nessun cielo sopra Berlino. Stavo per vedere Rimini-Juventus, prima giornata del campionato italiano di serie B. Serie B. La mia Juventus, la squadra per la quale ho sempre tifato, stava iniziando il campionato di serie B, dopo aver vinto due campionati di serie A. Di calciopoli è inutile che vi parli, sapete tutto. Buffon, Camoranesi, Trezeguet, Iaquinta, Marchisio ed il pallone d’oro Nedved costretti a confrontarsi col Crotone e l’Albino Leffe. Nell’estate del trionfo mondiale Cannavaro se n’era andato al Real Madrid, Zambrotta al Barcellona, Ibrahimovic all’Inter.
Sugli sviluppi di un calcio di punizione (avrebbe detto Ciotti) segnò Matteo Paro, che non so che fine abbia fatto, in contropiede pareggiò Omar Ricchiuti. Ricchiuti ogni tanto lo vedo in tv, perché a quel primo gol subito dalla Juventus in serie B dovrà eterna fama. Il giorno dopo, il mio collega di redazione mi chiese con una punta di piacere cosa avessi provato nel seguire la mia blasonata squadra al suo primo cimento in serie B. “Un incubo”, risposi.
Sono passati nove anni. Nove anni dopo lo scialbo pareggio di fine estate contro il Rimini, la mia Juventus si gioca la Champion’s League contro il mostruoso Barcellona di Messi, Suarez e Neymar. Lo sappiamo che possiamo perdere, forse perdere male, ma dicevano tutti così anche prima della semifinale col Real Madrid. Torino ha attraversato tante dominazioni e ha subito vari assedi, era capitale e il titolo le venne tolto. Migliaia di operai della Fiat, sotto il fascismo, si rifiutarono di lavorare per condizioni disumane e affrontarono a testa alta la cella. Torino ha conosciuto le serrate del 1980 e la marcia dei quarantamila. i salotti dell’alta finanza e ha visto crescere Don Cottolengo, fondatore dell’Istituto della Divina Provvidenza, il luogo dove vengono ospitati coloro che la società rifiuta. Torino ha sempre saputo risollevarsi, esattamente come una squadra di calcio che dai bassifondi della serie cadetta si trova a giocarsi la Champion’s League. Tessendo umilmente la tela del nostro gioco ci siamo guadagnati la finale. Così come un torinese, in altri tempi, fu capace di tessere la tela dell’Unità d’Italia. Si chiamava Camillo Benso conte di Cavour e spero che non sia un’oscura coincidenza la data della sua morte: 6 giugno. Possiamo perdere, ma io non ho paura della sfida di Giampaolo Cassitta. Sarà anche che il suo cuore di tifoso nasconde un segreto inconfessabile: prima che tifoso del Barcellona, Giampaolo è tifoso dell’Inter. Comunque vada, sarà un successo. Non è una frase fatta, perché comunque vada, domani notte le vie dell’Italia saranno attraversate da colonne di auto festanti. Tifosi della Juventus se la Coppa dovesse finire in Italia, tutti gli altri se i pronostici saranno rispettati e il Barcellona diventare campione d’Europa. Nell’uno e nell’altro caso, ricordiamoci tutti che si tratta di calcio. Ovverosia, di ventidue giovanotti in mutande che inseguono un pallone di cuoio per prenderlo a pedate.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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