In questi giorni ho capito che esistono sensibilità diverse e conseguenti diverse reazioni alla pronuncia di la gjastìma, come noi galluresi chiamiamo il frastimo, o anatema, o maledizione. Credo sia proprio diverso il senso comune che gli attribuiamo. A quel che ne so io la gjàstima dovrebbe essere un’equivalente di bestemmia, quindi tirare in mezzo quell’entità superiore nella quale molti di noi credono. Ma penso possano rientrarvi anche tutte quelle espressioni che augurano del male, non necessariamente per opera di una mano trascendente. Qualcuno vede, nella gjastìma, dell’ironia. Io ci vedo, molto di più, l’ira funesta di chi vorrebbe distruggere tutto, sparando alla cieca sul mondo. Un atto di terrorismo verbale. Tra le più comuni, citerò “L’ira di Deu ni lampia l’aria”. Si invoca l’Eccelso per augurare un cataclisma, una calamità, un disastro orribile capace di inghiottire tutta l’umanità, affinché la propria ira sia irradiata sul cosmo intero. Molto usato anche “Li fàlia un lampu”, auspicio di vedere il nemico rinsecchito da un fulmine che gli piombi addosso, come atto di giustizia provvidenziale. Chiedo scusa a chi considera queste espressioni violente e offensive: ha pienamente ragione, ma fanno parte del nostro linguaggio. O forse dei momenti in cui non riusciamo a controllarlo, o forse appartengono a chi non sempre valuta esattamente il potere distruttivo della parole.
Veniamo a gjastìmi più mirate, con un bersaglio preciso. Da piccolo mi capitava di sentire qualche padre avvertire il figlio discolo con questo ultimatum: “Ti docu un ciaffu chi t’allumu di focu”, traducibile con “ti mollo uno schiaffo che prendi fuoco”. E io, piccolo, m’immaginavo il corpicino del mio amico incenerito dall’esplosione di violenza del padre, colui che più avrebbe dovuto proteggerlo (so che qualcuno mi accuserà di essere eccessivamente sensibile). Mia madre, qualche volta, mi ha minacciato con un “ti docu una scavanata chi l’alta tilla dà la cantunata”. Traduzione: “Ti mollo uno sventola che l’altra la prendi dal muro”. Per capire meglio, dovete immaginare uno sganassone così energico da proiettare il corpo che lo subisce verso una parete, da cui verrebbe rimbalzato nell’opposta direzione per effetto della brutalità del colpo. E io immaginavo me stesso come una palla, schiantandomi contro i muri di casa come una boccetta tra sponde di un tavolo da biliardo.
L’ironia io riuscivo a coglierla solo nella gjastìma estemporanea, quella inventata sul momento e non pescata tra i modi di dire conosciuti. Da piccolo, mio padre aveva assunto un anziano vicino di casa per curare l’orto del terreno di campagna. Il contratto prevedeva che al vecchio Stevanu toccasse metà del raccolto. Stevanu era famoso per i suoi anatemi e il suo viscerale odio per la classe politica. Un pomeriggio d’inverno, mentre mia mamma lo riaccompagnava a casa in auto, trovammo sulla nostra strada uno di quei camion che trasportano massi di granito dalle cave della Gallura al porto di Olbia. Lui fissò il gigantesco blocco di pietra e così commentò: “Siddu l’aiani auti li ministri attaccati a li pinnuli erani andati più capi bassi di com’andani”. Mia mamma ne rise per una settimana e, trent’anni dopo, ancora ci ricordiamo di questa leggendaria battuta, così traducibile: “Se i ministri avessero avuto quel masso appiccicato alle ciglia, allora sì che sarebbero andati a testa bassa!”. Era il suo modo per auspicare l’umiltà di politici che lui vedeva spavaldi e arroganti. Ma ziu Stevanu, artista della gjastìma, aveva un suo senso del rispetto e non avrebbe mai messo di mezzo i figli o le famiglie. Lui colpiva il bersaglio, non quel che senza colpa gli stava attorno.
*ringrazio il linguista Emilio Aresu per la preziosa consulenza.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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