Cinque anni dopo l’abolizione della Provincia Gallura attraverso lo strumento popolare del referendum, i sindaci della Gallura stanno promuovendo una campagna per richiedere la nascita della Provincia Gallura. Farebbe già ridere così, anche me che sono gallurese per nascita e scelta, se non fosse che questo nuovo argomento dell’agenda politica locale merita qualche approfondimento, semplicemente andando a scavare nella storia recente del territorio. Fa ridere non tanto la battaglia in sé, magari anche condivisibile, quanto il fatto che la si riproponga senza chiedersi perché la defunta Provincia sia, appunto, defunta, lasciata morire senza rimpianti e tra gli sberleffi. Cosa è cambiato, solo cinque anni dopo, per giustificare una mobilitazione nuova nei tempi ma vecchia per contenuti? Ma io credo che di questa curiosa faccenda sia utile parlare in un contesto più ampio, in questo tempo di indipendentismi arrembanti, di corsa alle distinzioni, alle differenze, ad alzare nuovi muri per marcare la diversità. Come sappiamo, la Gallura provincia e gli altre tre enti intermedi nati in Sardegna nel 2001 sono stati aboliti nel 2012 da un referendum che prevedeva un quorum di un terzo degli aventi diritto. Il quorum venne superato appena, ma la percentuale di coloro che votarono per la soppressione dell’ente fu altissima. E da tutti quelli che a votare non ci andarono, in netta maggioranza, arrivò forse un messaggio ancora più forte: la totale indifferenza per le sorti di una Provincia che dieci anni prima era stata presentata come l’istituzione che avrebbe fatto giustizia dei presunti torti subiti dal nord est della Sardegna, luogo di turismo e imprenditoria asfissiati – così raccontava quella narrazione – da una politica regionale disattenta ed invidiosa. Io non so se quella provincia serva, ma so com’è nata e come e perché è morta, nella già ricordata indifferenza popolare. Ricordo, alla fine degli anni novanta, i viaggi in autobus da Olbia e Tempio verso il Consiglio regionale, autobus riempiti da amministratori e gente comune che all’assemblea di Cagliari chiedevano di vedere riconoscere quella autonomia. Le ragioni di allora erano, sostanzialmente, le stesse di oggi: un territorio dinamico, vocato all’imprenditoria, cresciuto attorno alla spinta prepotente della Costa Smeralda, chiede di poter fare da sé, senza sottostare obbligatoriamente ai vincoli imposti da Cagliari e dover attendere i suoi tempi estenuanti, prima di esaminare le istanze. Poi venne la legge istitutiva e le prime elezioni, datate 2005, vinte dal centrosinistra rappresentato dalla presidente Pietrina Murrighile. Nel 2010 il centrosinistra venne rimpiazzato dal centrodestra guidato da Fedele Sanciu, prima che il referendum facesse implodere quell’ente nato già penalizzato per la sua emanazione regionale e non statale.
Perché la Provincia Gallura morì a soli sette anni? Innanzitutto per le rivalità e gli antagonismi tra i territori: la Gallura sono in realtà due Gallure, quella sul mare che fa capo a Olbia e quella concentrata sotto le vette del Limbara, gravitante attorno a Tempio. Per chi non fosse gallurese, si tratta di due realtà in perenne conflitto. Dicono per un’antica rivalità storica, che miseramente si trascina ancora oggi malgrado le parti ne abbiano scordato le ormai superate ragioni. Una delle pagine più penose, nella fase della costituzione della Provincia, fu la rissa tra olbiesi e tempiesi per la definizione del capoluogo: gli olbiesi convinti che quel titolo spettasse solo a loro, i tempiesi e buona parte dei componenti della neonata assemblea propensi invece alla soluzione del doppio capoluogo, poi risultata vincente. A questa frattura originale, si aggiunsero poi le frizioni all’interno degli schieramenti: lavoravo in quel periodo in un giornale e ricordo le processioni di consiglieri di maggioranza che mi venivano a trovare di nascosto per lamentare la secondo loro pessima gestione finanziaria dell’ente, fatta di sperperi e scelte errate. Dissenso che poi taceva di colpo nel momento in cui al mio informatore veniva riconosciuto un qualche incarico politico retribuito. Difficile da qualificare fu poi la decisione del presidente Fedele Sanciu che, intenzionato a candidarsi per il Senato nel 2013, preferì lasciarsi decadere nell’ottobre del 2012, essendo la candidatura al Parlamento incompatibile con la sua permanenza alla guida della giunta.. Il problema di fondo dell’autonomia Gallura, però, resta la sua disomogeneità, le sue incolmabili differenze interne. Non molti ricordano il triste naufragio del Sistema turistico locale, un ente nato per proporre una concertazione territoriale del settore: morto anche quello dopo un’inutile e squallida agonia, per l’incapacità dei partecipanti a fare consorzio e per la lo loro cocciutaggine nel guardare ciascuno all’orticello di casa. Dentro un’autonomia invocata, presto emergono differenze e particolarismi. In Sardegna – quella Sardegna che molti sognano indipendente – la Gallura chiede con sempre maggiore insistenza di poter fare da sé e di poter decidere in autonomia i propri destini. Peccato poi che quell’entità, che si supporrebbe una e indivisibile, ne contenga una moltitudine, in continua lite tra loro. Non so se sia giusto o sbagliato. So che i muri e i campanili sono sempre troppi, eppure sembrano non bastare mai.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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