Ci sono bunker, nel senso della mia rubrica, che mi vado a cercare. Ce ne sono altri che invece vengono a cercare me. Il girone infernale scoperchiato dall’omicidio di Vasto appartiene a quest’ultima categoria.
La cosa veramente brutta della folla è che più stringi l’obiettivo, più ti accorgi che un po’ le somigli.
La folla che si è manifestata e mossa a proteggere l’omicida di Vasto – e non l’avrei mai detto – è fatta anche di facce che conosco bene, persone di qualità, istruite, intelligenti, benevole verso il genere umano, che stimavo e che continuo a stimare, e che pure hanno sentito il bisogno di “comprendere”, dandogli quasi un’attenuante, il gesto del panettiere killer.
Umanamente, verrebbe da dire, ci sta tutto. Ci sta che un marito esca fuori di testa e uccida, e ci sta pure che la sua follia venga letta in modo empatico, lasciandosi assordare dall’eco di quel dolore che sicuramente è stato immenso.
Ma di fronte a un omicidio, tutto dovrebbe tornare a certe proporzioni: un incidente è un incidente, una morte è una morte, un dolore è un dolore, un omicidio, appunto, è un omicidio.
Eppure sarebbe bastato leggere qualche articolo in più, scoprire che Italo, l’investitore, non era stato arrestato perché la legge prevede questo: chi causa un incidente ma si ferma a soccorrere la vittima, e oltretutto non risulta ubriaco, né stordito da droghe né che stesse correndo, non può essere arrestato.
Ci sarebbe stato un processo, e sarebbe arrivato in tempi brevi, come brevi erano stati i tempi dell’inchiesta. E quel processo, solo quello, avrebbe dovuto e potuto dire chi era colpevole e di cosa, e decidere la pena, secondo regole che riguardano tutti.
Eppure è passata, come se fosse vera, la storia del marito che ha diritto a farsi giustizia da solo perché la giustizia non funziona.
La vicenda di Vasto ha sollevato una marea oscura, in grado di incrinare certi pilastri del mondo in cui diciamo di voler convivere. Non è crollato nulla; semplicemente si sono formate delle microfratture.
Però è in certe microfratture che si nasconde il peggio.
La folla che plaude al vedovo killer non lo sa, ma sta lavorando perché quei pilastri cedano.
Il fatto che il tetto dell’edificio crolli anche sulla folla è una cosa che alla folla non interessa, non avendo essa alcuna testa da proteggere.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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